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Bracciante morta di fatica ad Andria. Sei gli arresti

Bracciante morta di fatica ad Andria. Sei gli arresti

Si è chiusa con sei arresti l'inchiesta sulla tragica fine di Paola Clemente, bracciante agricola morta di fatica nei campi vicino ad Andria nel luglio 2015. Aveva 49 anni, Paola Clemente, quando il caldo e la fatica la stroncarono sui campi nei quali lavorava per due euro l'ora. Era il 13 luglio...

Si è chiusa con sei arresti l’inchiesta sulla tragica fine di Paola Clemente, bracciante agricola morta di fatica nei campi vicino ad Andria nel luglio 2015.

Aveva 49 anni, Paola Clemente, quando il caldo e la fatica la stroncarono sui campi nei quali lavorava per due euro l’ora. Era il 13 luglio 2015 quando la donna perse la vita nelle vicinanze di Andria e subito si ricominciò a parlare di caporalato. Un fenomeno che sembrava sepolto nella memoria e invece è molto più diffuso e attuale di quanto non si sia disposti ad ammettere. La vita di Paola era trascorsa a fare la bracciante nelle campagne pugliesi, spaccandosi la schiena per una manciata di euro al giorno. Senza tutele e senza diritti. E alla fine il suo fisico ha ceduto al peso della fatica e degli stenti.

L’inchiesta sulle cause di una fine tanto tragica e inaccettabile è partita subito e adesso, dopo poco più di anno e mezzo di indagini, è arrivata a conclusione. A sugellarla è stata l’operazione di stanotte della Guardia di finanza di Trani e dalla Polizia di Andria. Un’operazione che si chiama “Paola”, proprio come la Clemente, e che ha portato all’arresto di sei persone a vario titolo coinvolte nella morte della bracciante.

A coordinare le indagini è stata la Procura di Trani, che giorno dopo giorno ha svelato l’esistenza di un sistema per lo sfruttamento dei lavoratori agricoli. Una nuova forma di caporalato, che si serve delle agenzie interinali per stipulare contratti formalmente regolari con i braccianti, i quali però ricevono molto meno rispetto alle somme riportate nelle loro buste paga e lavoravano molto più a lungo di quanto consentito dalla legge. L’ostacolo principale incontrato dagli inquirenti è stato il muro di omertà che protegge questo sistema, contro il quale si sono dovuti scagliare con tutta la determinazione possibile.

Alla fine, per fortuna, sono riusciti ad aprirsi uno spiraglio, scoprendo che le ore effettivamente lavorate da ciascun bracciante erano annotate diligentemente dai caporali. Che le registravano in alcuni quaderni di cui, a seguito di una serie di perquisizioni domiciliari effettuate nel settembre del 2015, gli investigatori sono riusciti a entrare in possesso. Dalla comparazione tra quanto riportato nei quaderni e ciò che era scritto sulle buste paga dei lavoratori è emersa truffa.

I provvedimenti di fermo emessi dalla procura hanno colpito tre dipendenti di un’agenzia di lavoro interinale di Noicattaro (BA), il titolare di una ditta che si occupava del trasporto dei braccianti (per lo più donne) e sua moglie, insieme a una donna che era incaricata del controllo delle lavoratrici nei campi. Per i dipendenti dell’agenzia interinale, il titolare della ditta di trasporto e la donna che faceva da controllore è stato disposto il trasferimento presso la casa circondariale di Trani, in attesa che si svolgano gli interrogatori di garanzia. La moglie del titolare della ditta di trasporto, che secondo le indagini risultava falsamente assunta come bracciante e percepiva indebitamente le indennità di disoccupazione, maternità e malattia, è finita invece ai domiciliari.

Poliziotti e finanzieri hanno inoltre eseguito un sequestro preventivo di beni per un totale di oltre 55mila euro, pari al valore dei contributi spettanti ai braccianti più quelli percepiti indebitamente dall’arrestata. I reati contestati agli indagati sono intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro aggravato e continuato, truffa ai danni dello Stato e truffa aggravata. Le pene massime per questi reati ammontano a 8 anni di reclusione.