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Cambiamenti climatici, guerre e migrazioni di massa in atto e future

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Le guerre del clima è un libro del giornalista Gwynne Dyer che descrive vari scenari della geopolitica mondiale conseguenti ai disastri ambientali. Un po' di pagine che andrebbero lette con attenzione, perché uno dei mondi descritti da Dyer potrebbe essere quello del futuro, se non nostro, dei ...

Le guerre del clima è un libro del giornalista Gwynne Dyer che descrive vari scenari della geopolitica mondiale conseguenti ai disastri ambientali.

Un po’ di pagine che andrebbero lette con attenzione, perché uno dei mondi descritti da Dyer potrebbe essere quello del futuro, se non nostro, dei nostri figli o nipoti. Uno dei problemi futuri sarà senz’altro quello dell’acqua, questo lo si può dire con certezza, perché si tratta di un dramma già in atto. A riportare il tema al centro dell’attenzione è stato il rapporto dell’istituto tedesco Adelphi, commissionato tempo fa dai paesi del G7 e reso noto nei giorni scorsi.

Il report è molto chiaro: l’acqua e, più in generale, i problemi climatici sono al centro di 111 conflitti in tutto il mondo, di cui 79 sono tuttora in corso. Guerre per l’accesso alle risorse idriche e il controllo delle stesse, perché è fatto oltre modo noto che una civiltà possa svilupparsi solo se ha disponibilità di acqua. Già, perché, senza acqua, è molto semplice, l’uomo non può sopravvivere.

L’elenco dei conflitti legati al clima o all’acqua è purtroppo lungo.

Si può iniziare proprio con la Siria e l’Iraq, dove le portate del Tigri e dell’Eufrate si sono ridotte in maniera drastica (del 40% in Siria e di quasi il 90% in Iraq) a seguito della creazione di una ventina di dighe, con relativi impianti idroelettrici, sull’alto corso di questi fiumi, in territorio turco. C’è il caso del Darfur, dove l’accesso alle risorse idriche resta una delle principali cause del conflitto, quello delle rivolte in Cambogia, le penose condizioni del Bangladesh, che inducono massicci flussi migratori verso l’India, dove di recente ci sono stati degli scontri per la realizzazione della grande diga sul fiume Narmada.

Situazioni, tutte, dove il disastro ambientale non può non essere considerato fra i principali fattori che tengono in vita i conflitti. Ecco perché la presidente dell’Intergruppo Globe Italia Stella Bianchi ha dichiarato che “ogni successo che otteniamo nel ridurre il riscaldamento globale è un passo in avanti per disinnescare conflitti violenti, inevitabili quando vengono a mancare acqua o terra da coltivare”. Un ulteriore motivo per seguire con la massima attenzione i lavori della Cop 21, perché “gli impatti diffusi dei cambiamenti climatici” come hanno detto i rappresentanti del World Watch Institute, “potrebbero portare a ondate migratorie, minacciando la stabilità internazionale. Si stima che entro il 2050, ben 250 milioni di persone potrebbero essere fuggite da aree vulnerabili per l’innalzamento del mare, tempeste o inondazioni, o terreni agricoli troppo aridi per coltivare”.