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Donna attende 16 ore per un intervento: "Ho perso figlio e dignità"

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Al Fatebenefratelli una tragica storia di malasanità: una donna ha atteso 16 ore per un intervento che sarebbe dovuto durare 15 minuti, perdendo il figlio e la dignità.

Al Fatebenefratelli una tragica storia di malasanità: una donna ha atteso 16 ore per un intervento che sarebbe dovuto durare 15 minuti, perdendo il figlio e la dignità.

La vicenda

E’ successo a Roma, all’ospedale Fatebenefratelli, in cui una donna si è recata la notte del 9 ottobre per perdite sospette che facevano presagire il rischio di un aborto spontaneo. La donna, una giornalista alla decima settimana di gravidanza, aveva avuto una gestazione priva di problemi, sino alla sera del 9 ottobre. A causa di alcune perdite dunque ha deciso di recarsi al Fatebenefratelli: qui, nel reparto di ginecologia è stata visitata dalla ginecologa di turno che ha contattato l’assenza di battito del feto.

L’intervento

Un aborto interno spontaneo per il quale si rende generalmente necessario un intervento di raschiamento. In questo caso però il raschiamento non risultava urgente, essendoci ancora la possibilità di un’espulsione spontanea del feto. Purtroppo così non è stato e la donna, dopo il trauma della perdita del figlio, si è vista quindi costretta ad accettare nell’immediato l’appuntamento datole dalla ginecologa del Fatebenefratelli, fissato per la mattina del 12 ottobre alle ore 7,30. La sera di mercoledì 11 ottobre ha digiunato e l’indomani si è presentata in ospedale alle 7,15. Da quel momento in poi ha avuto inizio l’interminabile e straziante attesa per la donna.

L’inizio dell’attesa

La donna era in ospedale dalle 7,15 ma è stata chiamata dall’equipe medica dopo oltre due ore di attesa. Solo dopo le 10,00 infatti le viene comunicato che il raschiamento era inevitabile, ma che, a causa dell’assenza di posti letto disponibili nel reparto di ostetricia, le avrebbero dato una barella. E così è stato, dopo mezz’ora circa, la donna è stata “sistemata” su una barella accanto a tre donne in procinto di partorire. Questo di sicuro ha rappresentato un ulteriore trauma e fonte di disagio per una donna che invece il figlio lo aveva appena perso.

Il ricovero

Finalmente alle 11,30 le viene assegnato un letto vero e la donna viene “ufficialmente ricoverata”. La donna dopo essersi cambiata attende l’infermiere per le analisi preliminari all’intervento. Il personale infermieristico non ha certo mostrato molta sensibilità, basta leggere le frasi che la donna ha riportato nel racconto dettagliato della vicenda: “AO, questa nun c’ha le vene, guarda qua, me rigetta l’ago. Mai vista ‘na cosa der genere”.

Dopo circa mezz’ora arriva la dottoressa per consegnarle i documenti per il consenso all’operazione. L’intervento sembra questione di pochi minuti, ma in realtà così non è: intorno alle 12,30 la donna viene visitata una seconda volta da un altro ginecologo che riconferma la necessità di effettuare il raschiamento.

Il tempo passa

La donna ritorna in stanza e nell’attesa dell’intervento, cerca di informarsi sulla procedura medica: le sarebbe stato somministrato un ovulo che entro due ore le avrebbe indotto perdite ematiche e forti contrazioni. Mentre le sue compagne di stanza pranzano, la donna ingerisce l’ovulo e prende l’antibiotico. Dopo due ore, come previsto hanno inizio le contrazioni accompagnate da perdite. La donna avvisa le infermiere perché sembra che sia finalmente arrivato il momento di operare. e infatti così era, purtroppo però era necessario attendere ancora poiché la sala operatoria era ancora occupata e c’erano altre urgenze in attesa. Sono passate le 16,00 e l’intervento sembra ancora lontano, nel frattempo la donna continua a soffrire in preda ai dolori e le viene somministrata della morfina.

L’arrivo in sala operatoria

Finalmente alle 19,45 la donna viene portata in sala operatoria, il suo fisico stremato dall’attesa, dal digiuno e dai dolori non le da nemmeno la forza di avere paura dell’intervento. L’anestesia fa effetto e viene effettuato il raschiamento.

Il risveglio

Dopo poco più di mezz’ora, attorno alle 20,23 la donna si risveglia: si trova in una stanza gelida, non c’è nessun medico a cui chiedere informazioni, accanto a lei solo una donna che ha appena partorito con un cesareo. Alle 21,00 circa la donna viene riportata in camera da un infermiere, nel frattempo chiede di poter parlare con il medico che l’ha operata ma l’infermare le dice che non c’è e che lo avrebbe incontrato l’indomani. Solo dopo queste parole la donna ha compreso che quello che le era stato detto che sarebbe stato un intervento di 15 minuti da effettuare in Day Hospital, l’avrebbe in realtà costretta al ricovero.

La donna lascia l’ospedale

La donna decide di mangiare e bere per recuperare un po’ di forze, dopodiché firma la liberatoria e va via. Sono state ben 16 le ore di attesa per un intervento che viene definito veloce e di routine. Alle 16 ore di attesa in ospedale devono aggiungersi le 24 ore senza mangiare e bere, perché in attesa di un intervento è necessario essere a stomaco vuoto. Il tutto è avvenuto nell’assoluta noncuranza e assenza di delicatezza e sensibilità da parte del personale ospedaliero. Nel pieno del suo dramma, la donna ha subito un trattamento assolutamente disumano: nell’arco di 16 ore non ha perso solo il suo bambino ma anche la dignità, come sostenuto da lei stessa. Un’altra storia di malasanità che vorremmo non si ripetesse mai più.