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Federico Tozzi, un campione in cucina

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Federico Tozzi. Romano. Classe 1967. Un maestro pizzaiolo che dirige una pizzeria a Santander, una tranquilla città sul mare nel nord della Spagna. Ma anche un campione di biliardo che ha vinto più di centocinquanta coppe e trofei nazionali ed internazionali. “Io non ho mai fatto né matemat...

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Federico Tozzi. Romano. Classe 1967. Un maestro pizzaiolo che dirige una pizzeria a Santander, una tranquilla città sul mare nel nord della Spagna. Ma anche un campione di biliardo che ha vinto più di centocinquanta coppe e trofei nazionali ed internazionali. “Io non ho mai fatto né matematica né scienza del biliardo. Io l’ho fatto sempre solo d’istinto e capacità di leggere una partita, adrenalina e forza di volontà. Quella non mi è mai mancata”. E la storia non è finita.

Figlio di Fausto Tozzi, non poteva che essere Trastevere il luogo che fece da sfondo naturale alla nascita di questa passione. Non aveva ancora compiuto tredici anni quando cominciò a giocare. Un tempo di crescita in cui le partite e le prime vittorie si mischiarono con la scuola alberghiera e qualche “illustre” avversario, come il piccolo ladro di appartamenti che arrivava al bar tutte le sere con i soldi in tasca e -tante volte- una gamba fratturata per aver incastrato il piede chissà dove. Per lui era una scommessa battere Federico. “Non è mai riuscito a farlo”.

E dopo l’talia, l’Inghilterra. A diciannove anni arrivò a Londra da solo, guidando una vecchia Renault 4, cercando di dimenticare una storia di amore giovanile. Mentre faceva il cuoco in un ristorante italiano, scommetteva soldi con i cinesi a Piccadilly Circus. Un altro periodo di vita frizzante in cui non mancarono nemmeno avventure da ventenni degne di un film, come il viaggio in Messico. “Mi trovai senza soldi, lontano dall’Italia e non sapevo che fare”. I dubbi, però, non durarono a lungo. “Andai in un pub a giocare e vinsi 1500 dollari in due ore”.

Federico parla chiaro: “È stato il mio lavoro per vent’anni. Ma mi è mancato di fare il passo per diventare professionista”. Infatti non fece fatica ad arrivare alla categoria master, ma quando uno mette su famiglia, il biliardo lo mette da parte. “Arrivò il momento di prendere decisioni, di assumere responsabilità. Dai 31 ai 41 anni non toccai il tacco”.

Ma dopo un decennio senza giocare, arrivò la spinta dal figlio. Due mesi di allenamento bastarono per diventare campione dell’Aquitania. Nessuno ci poteva credere. E subito dopo, la partecipazione al campeonato assoluto di Francia, circondato da fenomeni mondiali. Lui fu l’unico giocatore non professionista a classificarsi tra i 32 migliori della competizione. “Quindi fu già un risultato enorme. Non vinsi perché non ero ancora pronto per sostenere mentalmente una competizione per così tante ore”.

Nel 2007 arrivò in Spagna. Oltre ad altri tornei regionali, e grazie ad un amico che lo sostituì nel lavoro, poté partecipare al torneo di Barbastro, il più importante del Paese perché il vincitore si classifica per andare a Las Vegas al campionato mondiale. E Federico vinse ancora. Nel 2009 andò con la squadra spagnola negli Stati Uniti, “ma non giocai all’altezza per mancanza di esperienza in una competizione del genere”.

Perché, dietro l’alone di gioco da bar, da scommesse, c’è un vero sport che richiede una straordinaria forza psicologica. “Il biliardo è difficilissimo. Devi essere sicuro di quello che stai facendo, perché se hai dei dubbi, non puoi andare avanti”. Come nella vita, bisogna saper muoversi, saper con chi si parla e soprattutto quando bisogna cambiare aria. “Vivevo in un mondo in cui c’era un po’ di tutto: il figlio del politico famoso, lo scippatore, l’accoltellatore…”.

La sopravvivenza dipende dalla capacità di capire dov’è il pericolo. “C’era gente che si scannava e subito prendeva in mano un coltello”. Ricorda anche la domenica in cui un tipo apparentemente calmo tirò fuori una motosega dopo una sconfitta. “Uno deve saper dissociarsi da queste persone. Si può stare in mezzo a loro senza fare niente di quello che fanno, oltre a giocare. Così arriva la fine di una serata, ti sei divertito e magari hai vinto dei soldi”. Lui lo sa bene: “Devo molto al biliardo perché mi ha dato la possibilità di non fare cavolate, di praticare uno sport, di conoscere gente e di introdurmi nel mondo del lavoro in tutti i posti in cui sono andato, un ottimo modo per socializzare”.

Ma Federico avvisa: “Perdere fa male a tutti, ma da una sconfitta si deve prendere una motivazione per migliorare, se perdi o se vinci non devi cambiare. Bisogna saper stringere la mano all’avversario e riconoscerne il merito”. Qualche brutta esperienza l’ha già vissuta. Parla di amici persi e competizioni in cui qualcuno si è dimenticato di iscriverlo. Per paura. “Dobbiamo imparare dagli inglesi: vanno avanti con lo snooker e sembra una partita fra amici. Qui -al sud-, ci sono dei giocatori che non si riprendono più dopo una sconfitta, giovani promesse che si perdono. Ognuno di noi deve cercare di dare il meglio in quello che fa. Mi è sempre piaciuta l’idea di guadagnarmi il rispetto per quello che faccio. Se sei il primo o il secondo, non c’entra niente”. Di nuovo una lezione di sport e di vita.

E adesso? “Adesso per fortuna il lavoro non manca. È la pizzeria a darmi da mangiare, ma continuo a giocare”. Perché, se altre storie di amore sono finite, quella con le biglie rimane. Federico sorride: “Ancora non mi trema il braccio”. In parole poche, la carriera continua. Prossimo appuntamento:nella primavera del 2014, di nuovo al campionato del mondo a Las Vegas. Con l’esperienza fatta nel 2009, la storia sarà sicuramente diversa.