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I 100 passi: il film su Peppino Impastato

Impastato

La storia di Peppino Impastato, martire di stato ucciso dalla mafia perché diceva la verità, nel film di Marco Tullio Giordana. Sono passati ventotto anni dall'uccisione di Giuseppe "Peppino" Impastato per mano degli sgherri di Tano Badalamenti, il boss di Cinisi che imperversò per nome di cosa ...

La storia di Peppino Impastato, martire di stato ucciso dalla mafia perché diceva la verità, nel film di Marco Tullio Giordana.

Sono passati ventotto anni dall’uccisione di Giuseppe “Peppino” Impastato per mano degli sgherri di Tano Badalamenti, il boss di Cinisi che imperversò per nome di cosa nostra nella località in provincia di Palermo fra gli anni sessanta e settanta. Un intervallo di tempo che non ha affatto lasciato sbiadire il ricordo di quel ragazzo magrissimo e incosciente, che ebbe il coraggio di ribellarsi al giogo della criminalità organizzata, malgrado questa fosse prevalentemente un affare di famiglia. La storia di Peppino la conoscono tutti: con un padre squallido tirapiedi del boss, abituato sin da piccolo da quest’ultimo a frequentare il clan Badalamenti e i suoi affiliati, egli pagò a caro prezzo l’impegno politico e l’attivismo contro la mafia locale, portato avanti soprattutto dalle frequenze di Radio Aut, dai cui microfoni era solito deridere l’operato dei capibastone della cosca, a partire dallo stesso Don Tano (che egli era solito ribattezzare “Tano Seduto”). Il che stava portando, lentamente ma inesorabilmente, la popolazione a guardare agli intoccabili di cosa nostra con un atteggiamento più “laico” e molta meno paura.
Sono passati invece poco più di sedici anni quando I 100 passi di Marco Tullio Giordana fece la sua prima apparizione sugli schermi della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, dove vinse il premio per la migliore sceneggiatura. Il film che ebbe il merito primario di raccontare a una generazione diversa, già lontana persino dagli omicidi Falcone e Borsellino, la figura di Peppino Impastato, appartiene di diritto alla parte più nobile di quel filone del cinema italiano comunemente definito “cinema civile”, nel solco di grandi maestri del genere come – in primis – Francesco Rosi, ma anche Elio Petri e Giuseppe Ferrara. Giordana è un degno prosecutore di tale magistero, come ebbe modo di dimostrare con i suoi primi lavori Maledetti vi amerò e La caduta degli angeli ribelli, ma anche con l’irrisolto Appuntamento a Liverpool – primo film che provò a ragionare sulla strage dell’Heysel -, e soprattutto con Pasolini, un delitto italiano, film-inchiesta mascherato da poliziesco, realizzato a venti anni esatti dalla morte del poeta, romanziere e regista friulano.
Tale esperienza da parte del regista nel trattare episodi di cronaca si riversa, forse nella sua forma più compiuta, nella tessitura filmica che caratterizza I 100 passi. Una pellicola che, con invidiabile sintesi mescola ricostruzione storica – gli anni settanta -, rievocazione di un movimento come quello delle cosiddette radio libere – oggetto, nei primi anni duemila, di numerose rivisitazioni cinematografiche, da Radiofreccia di Luciano Ligabue a Lavorare con lentezza di Guido Chiesa – con tanto di colonna sonora in linea con il contesto, e passione civile, con tocchi di dramma familiare (la brusca rottura di Peppino con la sua famiglia, e in particolare il conflitto con il padre), romanzo di formazione (l’incontro tra Peppino e il pittore comunista Stefano Venuti che lo inizia all’impegno politico) e classico mafia movie all’americana. Ritraendo al contempo una Sicilia non convenzionale, in cui il calore della luce del giorno è temperato dall’oscurità quasi abissale delle sequenze in notturna, metafora del buio della ragione nel quale l’intera comunità è confinata dall’oppressione mafiosa. Numerose le scene rimaste impresse nella memoria e nell’immaginario collettivi, a partire da quella, riproposta in più contesti, in cui Peppino invita, e infine costringe a suon di spintoni, il pavido fratello minore Giovanni a misurare la distanza dalla loro casa a quella di Don Tano. Cento passi, appunto, la distanza che misura l’innocenza dell’ingenuo Giovanni dalla compromissione con il potere mafioso del quale Peppino ha deciso di non fare parte.
I 100 passi è anche il film che rivela al grande pubblico un pugno di straordinari attori siciliani, protagonisti di numerose pellicole da lì agli anni successivi. Quello che – a ragione – ha beneficiato di più del successo del film è stato Luigi Lo Cascio, la cui intensa interpretazione nei panni di Peppino Impastato è stata l’apripista per una carriera cinematografica di successo che dura tuttora. Lo stesso si può dire, seppure in misura leggermente più ridotta, per Paolo Briguglia, che pure da allora non si è più fermato ed è apparso in pellicole epocali come Buongiorno, notte di Marco Bellocchio. Ma la vera sorpresa rimane il più anziano Luigi Maria Burruano, che nei panni di Luigi Impastato, padre di Peppino e Giovanni, dà vita a un’interpretazione dolente e intensissima, in cui i conflitti interiori di un uomo sospeso tra due mondi, quello familiare che lo ripudia e quello del clan che lo umilia e sottopone a vessazioni.