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Le start up più ricche del mondo

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Idee, capacità imprenditoriali, coraggio, fortuna. Servono tanti ingredienti per fare una start up di successo. Proviamo ad analizzare chi ce l'ha fatta. Chiuque abbia surfato su Internet nelle ultime settimane si sarà imbattuto, su diversi siti, ma anche in forum e persino sui social network, i...

Idee, capacità imprenditoriali, coraggio, fortuna. Servono tanti ingredienti per fare una start up di successo. Proviamo ad analizzare chi ce l’ha fatta.

Chiuque abbia surfato su Internet nelle ultime settimane si sarà imbattuto, su diversi siti, ma anche in forum e persino sui social network, in uno strano messaggio promozionale, che nel titolo illustra come l’ultima start up finanziata dall’attore statunitense Ashton Kutcher (che è realmente un serio investitore in aziende di nuova generazione, e grazie al suo fiuto ha visto moltiplicare in pochi anni il volume dei suoi guadagni, già alquanto sostenuti grazie ai cachet che riceve per i suoi film, sarà forse per questo che lo hanno scelto per interpretare Steve Jobs) abbia reso milionarie diverse persone in poche settimane. Non abbiamo avuto modo di verificare il grado di veridicità di tale affermazione (che comunque, a occhio e croce, si qualifica da sé), eppure questo fascinoso quanto pervicace messaggio ci ha indotto a riflettere su come il miraggio della ricchezza fulminea, se non addirittura istantanea, si sia trasferito sulla nuova mitologia dell’impresa digitale. E non c’è persona al mondo che non abbia un minimo di dimestichezza con la rete a non sognare, nel proprio piccolo, una sua personale Silicon Valley. Ma quali sono, a oggi, le start up più ricche? Diamo un’occhiata, alle prime dieci (dati aggiornati al 2016).
Al decimo posto, con 12 miliardi di dollari, troviamo l’avveniristica SpaceX. Fondata dal creatore di PayPal, Elon Musk, è a tutti gli effetti un’agenzia spaziale privata. L’obiettivo? Una cosetta da nulla: rendere i viaggi nello spazio un fatto puramente “turistico” nel giro di pochi anni, e poi sfruttare a fini commerciali l’esclusiva – se resterà tale – della tecnologia sviluppata per raggiungere tale obiettivo. Deliri di un miliardario in preda a traveggole? Vedremo. Nel frattempo Musk, dopo aver lanciato in orbita il primo razzo a propellente liquido, progetta la colonizzazione di Marte a colpi di 80.000 persone ogni anno.
Nono posto, con 15 miliardi di dollari, per una banale azienda di ecommerce. Banale? Fino a un certo punto. La ricchissima Flipkart, infatti ha sede in India, e gode dell’indubbio vantaggio di servire una popolazione di “appena” un miliardo e duecentocinquanta milioni di abitanti. I fondatori Sachin e Binny Bansal non possono certo lamentarsi.
Ottavo posto per Didi Chuxing, già Didi Kuaidi, ovvero la Uber cinese. La compagnia di ride sharing fondata a Pechino nel 2012 da Chéng Wéi ha già raggiunto lo stratosferico fatturato di 16 miliardi di dollari, ed è in vertiginosa espansione. Merito delle politiche liberiste de facto adottate da Pechino in determinati settori, in barba a tutti i piani quinquennali del Partito Comunista Cinese. Con un’utenza potenziale di quasi un miliardo e quattrocento milioni di persone (tanti sono gli abitanti della Cina), ha delle prospettive di crescita che fanno letteralmente paura. Vi basti pensare che in quattro anni e quattro mesi di attività, Didi Chuxing raggiunge più di 300 milioni di abitanti in oltre 400 città. Insomma, sono solo all’inizio.
Settimo posto per WeWork, la piattaforma di sedi di coworking più diffusa al mondo (Italia compresa). Fondata nel 2010 da Adam Neuman, si basa su concetti tanto elementari quanto efficaci: spazi immobiliari a basso costo, brandizzazione degli ambienti, calore, accoglienza, efficienza e benefit. Ultimo tocco di classe, l’idea eco-friendly, a base di riciclo e attenzione ai materiali, che è valso alla start up la menzione tra le most innovative companies del 2015 secondo l’autorevole rivista di settore Fast Company. Oltre a una revenue annuale di oltre 16 miliardi di dollari.
Il sesto posto, con un fatturato annuo approssimato anch’esso a 16 miliardi, ma di qualche spicciolo superiore al summenzionato WeWork, è appannaggio di Snapchat, la novità che promette di rivoluzionare l’universo del social networking puntando forte sui dispositivi mobili. La start up losangelina, creata nel 2011 da Bobby Murphy ed Evan Spiegel, punta tutto sulla vecchia ricetta “fotine + messaggini”, ma l’immediatezza smart del linguaggio e l’aspetto accattivante hanno fatto breccia presso gli utenti, soprattutto i più giovani. In attesa della prossima idea social…
Quinto posto, con 18,3 miliardi di dollari, occupato da Meituan-Dianping, altra start up cinese. Fondata da Wang Xing nel 2010, in teoria è un’azienda di shopping online, in realtà si tratta di qualcosa di più raffinato. In inglese si chiama group buying, in pratica è un gigantesco discount digitale che vende qualsiasi cosa ovunque tramite sistema di vouchers. Insomma, la versione mandarina di Groupon, che dovrebbe suonarvi più familiare.
Quarto posto per il colosso della big data analysis. Palantir Technologies, grazie ai suoi elevati algoritmi, è utilizzato negli USA praticamente da tutti: grandi aziende come enti statali, tra cui il Ministero del Lavoro e il Dipartimento della Difesa, che lo utilizza anche come strumento di elaborazione nelle azioni di prevenzione contro il terrorismo. La company fondata nel 2004 da Peter Thiel, Joe Lonsdale, Alex Karp, Stephen Cohen e Nathan Gettings fattura ogni anno 20 miliardi di dollari.
Saliamo sul podio, e al terzo posto, con 25,5 miliardi di dollari, troviamo il celebre Airbnb. Il celebre portale di couch sharing è un must per ogni turista fai da te, e ovviamente la start up più odiata dalle federalberghi di tutto il mondo. I fondatori Brian Chesky, Joe Gebbia e Nathan Blecharczyk, che lanciarono il portale nel 2007 – si avviano dunque a festeggiare i dieci anni di attività -, avranno modo di consolarsi leggendo gli estratti conti mensili delle loro banche…
Piazza d’onore per una start up che punta tutto sul low cost. È Xiaomi, l’azienda che produce telefoni e tablet a bassissimo costo, risparmiando sui materiali “inerti” (rivestimenti, tastiere, vetri dei display) ma investendo in tecnologia, hardware e periferiche. Insomma, l’idea è quella di ottimizzare le risorse e gli investimenti, concentrandosi più sulla funzionalità del prodotto che sull’estetica. È stata questa formula a garantire alla società fondata nel 2010 da Lei Jun il secondo posto di questa speciale classifica, con una cifra che incenerisce tutti gli occupanti dalla terza casella in giù: 46 miliardi di dollari.
Medaglia d’oro tanto scontata quanto inevitabile, visto la proliferazione virale di tassisti improvvisati un po’ in tutto il mondo (Cina inclusa, malgrado il successo del già menzionato Didi Chuxing. Il moloch Uber di Travis Kalanick e Garrett Camp è ormai ovunque, e grazie a una policy tanto discussa quanto efficace sul piano strettamente imprenditoriale si sta imponendo come uno dei giganti assoluti dell’economia mondiale. E il suo successo non accenna a diminuire, anche in virtù della indubbia capacità di innovare e rinnovare dei suoi manager. Qualche prova? Dopo UberEats, servizio di food delivery, si sta già pensando a un avveniristico servizio di aerotaxi. Il nome? Uber Elevate, già in fase di sviluppo, anche se per il momento solo a livello progettuale. Intanto, dall’alto dei loro 51 miliardi dollari di revenue, i manager di Uber hanno già modo di gongolare.