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Lemmy Motorhead, a un anno dalla morte il modo migliore per ricordarlo

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Lemmy Motorhead anziché Lemmy Kilmister, come per una sostituzione di cognome che fa un tutt'uno del musicista e della sua band. La morte un anno fa. Il 28 dicembre dello scorso anno moriva Lemmy Kilmister. La sua scomparsa ha cambiato il mondo della musica, abituato da sempre ad averlo fra i prot...

Lemmy Motorhead anziché Lemmy Kilmister, come per una sostituzione di cognome che fa un tutt’uno del musicista e della sua band. La morte un anno fa.

Il 28 dicembre dello scorso anno moriva Lemmy Kilmister. La sua scomparsa ha cambiato il mondo della musica, abituato da sempre ad averlo fra i protagonisti. Qual è il modo migliore per ricordare Lemmy? Di sicuro non con le lacrime.

Aneddoti, avventure, citazioni e, soprattutto, tanta musica: perché ‘Lemmy is God’

È morto da un anno, Lemmy Kilmister, cantante, bassista e leader dei Motorhead, e il mondo del rock sente la sua mancanza. Mancano il suo cappello, i baffi e l’aria strafottente di chi può permettersi di non chiedere nulla, per il fatto molto semplice che nulla si aspetta. Un re della vita, se si vuole vederlo così, capace di concentrarsi in modo totale sul singolo istante, ricordandosi il passato, ma senza farsi distrarre dal futuro. Un uomo intelligente, anche, compositore rock capace di trasformare il grezzo in qualcosa di trascinante (“Bomber”), in parte ironico (“Whorehouse Blues”) o persino di lirico (“I ain’t no nice guy”).

Il modo migliore per ricordare Lemmy è farlo con il sorriso sulle labbra, con frasi e aneddoti tratti da quella pazzesca riserva che è la sua vita, per come l’ha raccontata lui nella sua autobiografia “La sottile linea bianca”, scritta con la bravissima Janiss Garza nel 2002.

Una vita lungo la storia del rock

Lemmy e la scuola, tanto per iniziare, quella scuola che “fu un problema fin dall’inizio”, perché gli insegnanti pretendevano che lui imparasse, mentre lui “non ci pensava nemmeno”. Poi i racconti dei primi anni, con gli incontri fra future rock star. Lemmy, dopo avere conosciuto Jon Lord (Deep Purple), decide di chiedergli ospitalità, presentandosi una notte a casa sua, a West Dreyton, vicino a Londra. Ad aprirgli, però, trova una “dolce vecchietta” che gli rivela che Jon è in Danimarca, in tournée, ma che può farlo dormire sul divano. Il risveglio, però, è traumatico, con Ron Wood, quello dei Rolling Stones, che grida “oh, c…o ci fai sul divano di mia madre?”. Eh sì, perché la vecchietta era la signora Wood, e Jon Lord viveva con Ron e suo fratello Art.

Jon Lord e Ron Wood sono due fra tanti, perché Lemmy ha percorso la storia del rock sin dall’inizio, da un concerto di Buddy Holly alla New Brighton Tower (“queste sono cose che svelano la mia c…o di età: ho visto Buddy Holly dal vivo”), ma di una cosa è sempre rimasto sicuro: “non ci sarà mai più niente come i Beatles”.

Lemmy is God

Schiavo delle anfetamine per sua stessa ammissione, Lemmy ha sempre dichiarato di non essersi mai iniettato nulla in vena, né di avere mai usato l’eroina, di cui sono morti “moltissimi amici”, compresa “la ragazza che ho amato di più nella mia vita”: si chiamava Sue e, quando è morta, “aveva solo diciannove anni”.

Sul sangue di Lemmy c’è un aneddoto gustoso. Durante una visita medica per procedere a un “ricambio completo del sangue” per una rapida disintossicazione, il dottore, analisi alla mano, lo guardò e gli disse: “devo avvisarla che del sangue puro potrebbe ucciderla”, “lei non ha più sangue umano nelle vene”, “ il suo sangue ucciderebbe qualsiasi persona normale, da quanto è tossico”.

E con questo si arriva ad una delle citazioni più famose riguardanti Lemmy, quella del film “Airheads – una band da lanciare” del 1994. Alla domanda “chi vincerebbe in un incontro di lotta: Lemmy o Dio?”, il malcapitato interrogato risponde “Lemmy”, poi si corregge, dice “Dio”, ma la domanda, in realtà, è un trabocchetto, perché, e a dirlo è Steve Buscemi, “Lemmy is God”.