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L’Ospedale di Figline Valdarno: storia di Veronica Cybo e del suo fantasma

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La storia L'Ospedale di Figline Valdarno, in provincia di Firenze, fu fondato nel 1399 da un priore della Repubblica Fiorentina, Ser Ristoro di Ser Jacopo de' Serristori, per celebrare la Vergine Maria Annunziata di Figline Valdarno. Al 1410 risale un "registro di memorie economiche" della stru...

La storia

L’Ospedale di Figline Valdarno, in provincia di Firenze, fu fondato nel 1399 da un priore della Repubblica Fiorentina, Ser Ristoro di Ser Jacopo de’ Serristori, per celebrare la Vergine Maria Annunziata di Figline Valdarno. Al 1410 risale un “registro di memorie economiche” della struttura tenuto da Fra Domenico di Gherardo. Nella seconda metà del XV secolo l’edificio non servì più soltanto di dare rifugio ai poveri e ai pellegrini secondo la tradizione tardomedievale, ma anche di curare i malati. Nel 1637 la nobile famiglia Serristori ottenne l’autorizzazione di far costruire un vero e proprio ospedale, che rimase sempre di sua proprietà – per quanto lo Stato cercasse di assumerne il controllo – e prese il suo nome. Nel 1890, per volere di Umberto Serristori, fu costruito un nuovo ospedale sul vicino colle di San Cerbone, nella villa che la famiglia aveva fatto ristrutturare proprio per questo motivo; qui nel Seicento era stata confinata una nobildonna, Veronica Cybo, il cui fantasma si aggirerebbe ancora nell’ala più antica, dove sarebbe stato visto dal personale sanitario e dai pazienti.

La vicenda

Veronica Cybo Malaspina, questo è il nome completo della nobildonna, nacque il 10 dicembre 1611 dal Duca Carlo I Cybo – Malaspina di Massa e Carrara e da Brigida di Gannettino Spinola, un’aristocratica genovese. Quando Veronica aveva 15 anni, Maddalena d’Austria, vedova del Granduca di Toscana Cosimo II de’ Medici, intervenne per farla sposare con il Duca Jacopo Salviati de’Medici, erede dei territori di San Giuliano nella campagna romana e consigliere del Granduca Ferdinando II.

Sembra che la giovane non fosse particolarmente bella e il marito non era attratto; perciò egli, un impenitente donnaiolo, cominciò presto ad avere numerose relazioni extraconiugali e a frequentare di notte le cosiddette “buche”, praticamente dei bordelli. In uno di questi locali per soli uomini, che era situato in Via Borgo Pinti a Firenze – città dove Salviati si era trasferito con la moglie dopo le nozze – conobbe una bellissima 23enne di nome Caterina Brogi Canacci, sposata con un uomo 50 anni più anziano di lei, Giustino Canacci, di professione tintore, il quale la lasciava spesso sola con una vecchia fantesca, Maria di Scarperia. Tra Jacopo e Caterina scoppiò la passione, ma Veronica scoprì ogni cosa e, già di indole non certo affabile, architettò un piano per uccidere l’amante, che era incinta di suo marito. Prima, però, volle tentare un incontro “chiarificatore” nella Chiesa di San Pier Maggiore; senonchè Caterina la derise, scatenando la furia Veronica per l’offesa subita. Inizialmente la Duchessa di San Giuliano cercò di ucciderla avvelenandola, ma non riuscendovi, assoldò come sicari i tre figliastri della vittima, Bartolomeo, Francesco e Giovanni, che odiavano la matrigna, e un certo Uguccione da Massa. L’omicidio di Caterina avvenne la notte dell’Ultimo dell’Anno del 1633: fu uccisa anche la fantesca, che, senza avere alcun sospetto, era andata ad aprire la porta della casa della padrona a Bartolomeo Canacci, che si era presentato lì. Le due guardie che erano state messe di sentinella da Salviati, invece, fuggirono, assistendo al massacro dalle finestre dalla vicina casa di piacere in cui avevano trovato rifugio. L’amante del Duca Jacopo venne dunque uccisa senza pietà nonostante il suo stato gravidanza e il suo corpo e quello della domestica, fatti a pezzi: furono trovati in parte nelle fognature e in parte in un pozzo di Firenze, sconvolgendo la città.

Il giorno successivo agli assassinii, Capodanno (del 1634), era usanza che le mogli donassero ai mariti un cesto di biancheria ricamata, ma nel cesto che Veronica donò al marito, egli trovò la testa mozzata di Caterina. Per il delitto, i fratelli Canacci vennero torturati perché confessassero, ma dei tre fu giustiziato solo Bartolomeo. Veronica, invece, ripudiata dalla sua famiglia, venne confinata per un periodo nella Villa di S. Cerbone, poi diventata l’Ospedale Serristori di Figline Valdarno, dove rimane tutt’oggi una lapide che ricorda quella vicenda di sangue. Successivamente la nobildonna potè trasferirsi a Palazzo Salviati a Roma, dove morì il 10 settembre del 1691. Fu sepolta nel Duomo di Massa e la sua tomba, presente tuttora, fu per molto tempo considerata luogo di preghiera, perché contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, Veronica era molto religiosa e considerata una donna pia. Nell’Ottocento la sua storia venne raccontata dal Conte letterato Carlo Morbio e da Francesco Domenico Guerrazzi, scrittore e politico che fu prima triumviro e poi incarcerato a Firenze, il quale dedicò a Veronica Cybo un romanzo intitolato “La Duchessa di S. Giuliano”.

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