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Morto di infarto per turni massacranti: arriva il risarcimento

morto di infarto

Nel 1998 Giuseppe Ruberto è morto di infarto per il troppo lavoro. Dopo anni, il tribunale ha stabilito un risarcimento per la famiglia.

La storia di Giuseppe

Giuseppe Ruberto nel 1998 era un giovane di appena 30 anni. Laureato in medicina, aveva trovato come primo impiego un posto come tecnico radiologo all’ospedale di Nicosia. Lavorò lì per sette anni, dal ’91 al ’98, insieme ad altri quattro colleghi. L’utenza di un Asl, però andava ben oltre le capacità di Giuseppe e dei suoi colleghi. Dai dati dell’ospedale risulta che in quei sette anni furono eseguiti poco meno di 150 mila esami. Per coprire tutti gli impegni presi dall’Asl Giuseppe e i suoi colleghi furono costretti a lavorare letteralmente giorno e notte: turni straordinari, sempre reperibili. Inoltre per fare esami in ogni parte della grande struttura ospedaliera erano costretti, per alcuni tratti, a uscire all’aperto, che piovesse, nevicasse o ci fosse il solleone. L’affaticamento eccessivo ha distrutto Giuseppe: il 19 settembre 1998 Giuseppe Ruberto è morto di infarto.

Il processo

La famiglia di Giuseppe fece immediatamente ricorso contro l’Asl di Nicosia. L’accusa era di aver affaticato troppo Giuseppe Ruberto, sottoponendolo a orari disumani, turni estenuanti e condizioni di lavoro che potevano portare all’infarto. Nel 2010, al termine del processo, i genitori di Giuseppe vincono la causa, ma l’anno successivo il tribunale di Caltanissetta smentisce la prima sentenza. Al termine del secondo processo, infatti, si era stabilito che se Giuseppe era morto di infarto non era colpa dell’Asl. Ma la famiglia Ruberto non si è arresa e ha continuato a lottare per suo figlio. Così l’8 giugno scorso ha avuto finalmente soddisfazione in via definitiva. Con questo nuovo processo è stato stabilito che “l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro” Quindi l’azienda sanitaria è responsabile della morte di Giuseppe.

Il risarcimento

Giuseppe Ruberto, morto di infarto nel 1998, trova giustizia solo ora nel 2017. Il legale della famiglia, Giuseppe Agozzino, si è espresso dicendo “Era un principio già fissato dalla Cassazione ma ora viene riconosciuto che le condizioni di super lavoro, dovute per soddisfare le esigenze del datore di lavoro, se creano un danno devono essere risarcite. Ed è irrilevante che il lavoratore non si sia mai lamentato di quella situazione, cosa che l’Asl aveva rilevato a propria difesa” Ora i genitori di Giuseppe hanno diritto a un risarcimento che dovrà essere dato dall’Asl per aver provocato la morte del loro figlio. Purtroppo capita di vedere giovani che, pur di mantenere il loro primo lavoro, sono disposti a enormi sacrifici, ma quando i sacrifici arrivano a mettere a rischio la propria vita è l’azienda in primis che dovrebbe agire secondo coscienza. Affamare un popolo vuol dire anche questo: dargli un lavoro in cambio della loro vita.

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