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Renzi non torna indietro: "No ai ricatti, congresso a primavera"

Renzi non torna indietro: "No ai ricatti, congresso a primavera"

La relazione dell'ex segretario Matteo Renzi all'Assemblea nazionale del PD di oggi è stata molto aspra: nessuna mediazione con la minoranza, il congresso sarà in primavera. Lo strappo è più vicino. Non lasciano molti spiragli le parole pronunciate da Matteo Renzi davanti all'Assemblea nazion...

La relazione dell’ex segretario Matteo Renzi all’Assemblea nazionale del PD di oggi è stata molto aspra: nessuna mediazione con la minoranza, il congresso sarà in primavera. Lo strappo è più vicino.

Non lasciano molti spiragli le parole pronunciate da Matteo Renzi davanti all’Assemblea nazionale del Partito democratico convocata stamattina all’hotel Parco dei Principi di Roma. Il segretario uscente del PD è arrivato con oltre un’ora di ritardo all’appuntamento, che da giorni era annunciato come quello decisivo per le sorti dei dem.

Il suo intervento è stato preceduto da un lungo applauso da parte della platea, che era formata dai delegati e da altri membri del partito presenti in qualità di ospiti. Renzi è sembrato ben poco conciliante, come le voci della vigilia facevano già presagire. Senza preamboli l’ex premier ha subito attaccato a viso aperto l’ala sinistra dei democratici, che si era riunita ieri al teatro Vittoria, nel quartiere Testaccio, per fare il punto della situazione.

Matteo Renzi ha sottolineato che la responsabilità del PD è nei confronti del Paese e che le discussioni interne debbono finire, perché sono un regalo fatto al M5S, i cui problemi e le cui contraddizioni stanno passando in secondo piano rispetto alle beghe dei dem. Il segretario uscente ha detto che la parola scissione lo fa soffrire e non ha mancato di sparare ad alzo zero su Emiliano – reo di aver invocato il congresso anche a costo di passare alle carte bollate – e soprattutto su D’Alema, colpevole di attaccare la segreteria del proprio partito e dimenticarsi delle forze politiche avversarie. Il sottointeso, che non è sfuggito a nessuno, è che tutto questo avvenga per astio personale più che per ragioni politiche solide.

Ammettendo che il 4 dicembre con la sonora sconfitta rimediata al referendum c’è stata una cesura, Renzi ha tuttavia ribadito che non ci saranno passi indietro rispetto ai tempi del congresso. Come aveva già anticipato il vice segretario Guerini, l’ultimatum della minoranza è giudicato irricevibile, anche perché lo statuto del partito impone certe tempistiche e non si può sempre protestare appigliandosi a qualunque pretesto.

Nel corso del proprio intervento Renzi ha posto a più riprese l’enfasi sulla lealtà e sul rispetto, che sarebbero mancati all’interno del partito. Il quale, questa è l’accusa lanciata, è sotto il ricatto di un gruppo incapace di accettare che in una forza politica democratica non si possa a priori escludere nessuno. Il potere, ha sottolineato l’ex premier, è nelle mani del popolo delle primarie, non di correnti e caminetti che vedono il congresso solo come una lotta di potere.

Ancora una volta, come già avvenuto nell’ultima direzione PD, Renzi ha rivendicato i successi ottenuti dal proprio governo, nonostante non sia trascorsa nemmeno una settimana senza che si finisse sotto il fuoco di fila delle critiche interne.

A proposito della richiesta di ritiro della candidatura, che era stata suggerita da Roberto Speranza come ricetta per ricomporre la frattura tra le due anime dei dem, Matteo Renzi ha usato parole molto dure. “Non si può eliminare una persona”, ha detto seccamente, altrimenti sarebbe “un passo indietro verso un partito senza idee, unito solo dall’essere contro qualcuno o qualcosa”. “Avete il diritto di sconfiggerci, non di eliminarci”, ha tuonato Renzi, il quale aveva già ripetuto che nessuno possiede il copyright della sinistra. Il segretario uscente ha aggiunto che non si può dire a qualcuno che ha ricevuto la legittimazione del popolo delle primarie di non essere parte di una comunità, chiudendo la propria relazione con l’auspicio che si vada avanti tutti insieme. A patto, però, che si vada davvero avanti.

Nessuna concessione, dunque, ai propri avversari interni. La mediazione – almeno per oggi – è fallita e il divorzio in casa PD sembra sempre più vicino.