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Scandalo Volkswagen, Mueller nuovo ad, cosa cambia

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Via il dimissionario Martin Winterkorn, al vertice della Volkswagen arriva Matthias Mueller. Arriva dalla Porsche e, ancora prima, dalla ex Germania dell'Est, dall'odierna Chemnitz, per la precisione, una volta Karl Marx Stadt. Laureato in informatica alla Munich University of Applied Sciences, Ã...

Via il dimissionario Martin Winterkorn, al vertice della Volkswagen arriva Matthias Mueller.

Arriva dalla Porsche e, ancora prima, dalla ex Germania dell’Est, dall’odierna Chemnitz, per la precisione, una volta Karl Marx Stadt. Laureato in informatica alla Munich University of Applied Sciences, è da quarant’anni nel settore automobilistico, sempre nell’orbita del gruppo di Wolfsburg, con inizi nell’Audi e approdo, nel 2010, alla Porsche, dove, fino a due giorni fa, ricopriva la carica di amministratore delegato.

Esperto e diretto, pragmatico come solo un teutonico sa essere. Stimato, si dice, dai sindacati tedeschi, che ne apprezzano schiettezza e correttezza. Sì, perché Mueller è uno che tiene fede alla parola data. Si dice.

Il suo principale sponsor sembrerebbe essere proprio l’amministratore uscente Winterkorn, che lo volle in importanti ruoli di coordinamento in materia di brand e strategie di mercato sia per l’Audi, sia per la Volkswagen.

Le prime parole di Mueller sono degne di un vero manager, visto che ha parlato di “una sfida senza precedenti”, promettendo però che “possiamo superare e supereremo questa crisi, Volkswagen sarà all’altezza delle proprie responsabilità”, “riconquisteremo la fiducia”.

Volkswagen, per parte sua, ha fatto sapere che la manipolazione del motore diesel (11 milioni di veicoli coinvolti) sarebbe “un danno enorme causato da un piccolo gruppo“. In altre parole, secondo la casa automobilistica, il marchingegno dello scandalo sarebbe stato ideato e fatto mettere in opera da un ristretto gruppo di dipendenti, mentre i vertici VW sarebbero stati sempre all’oscuro della vicenda.

Di essere all’oscuro di tutto, peraltro, lo aveva detto anche Winterkorn annunciando le proprie dimissioni.

Una lettura dei fatti che, anche se ammessa per vera, mette comunque in cattiva luce la Volkswagen, facendola apparire prigioniera impotente delle gesta spericolate di un “piccolo gruppo” che sarebbe stato in grado di agire senza alcun controllo o ostacolo.

Intanto, secondo quanto ha riportato la Cnbc, il Dipartimento di Giustizia USA ha annunciato che avvierà un’indagine, evidenziando come la truffa ideata da VW abbia “potenziali implicazioni sulla salute pubblica e l’inquinamento negli Usa”.

Da Berlino, il ministro dei trasporti Alexander Dobrindt, ha dichiarato che “sono 2,8 milioni i veicoli circolanti in Germania coinvolti nello scandalo dei test truccati da parte del gruppo Volkswagen, e fra questi vi sarebbero anche vetture di cilindrata 1.200, inferiore a quanto finora pensato, nonché alcuni furgoni”, sottolineando con ciò che le dimensioni dello scandalo potrebbero allargarsi ancora.

Al Tg5, il premier Renzi ha dichiarato che “le truffe si combattono sempre, qualunque sia il colore e la nazionalità di chi le fa. Qui non siamo in presenza di un disastro ambientale, ma di una truffa. l’Italia chiede che sia punita severamente”.

Certo, non si può parlare di disastro ambientale, ma non lo si può fare solo perché la truffa ha potuto perpetrarsi solo per pochi anni. Non è una sottile differenza, perché, dello scandalo Volkswagen, l’aspetto forse più grave non è tanto quello di aver truccato il motore, ma di aver violato norme sulla protezione ambientale pur di avere un vantaggio economico. Questa mancanza di coscienza del problema climatico è il vero problema. Nonché il fatto che i test siano stati aggirati con relativa facilità.

A questo proposito è arrivata anche la notizia che la UE, con solerzia intempestiva, ha stabilito che dal gennaio del prossimo anno, i controlli sulle vetture non si effettueranno più in laboratorio, ma su strada, dove, senza dubbio, implementare il software trucca – emissioni sarebbe molto più difficile. Non impossibile, però.