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Si scrive doccie o docce?

docce

La lingua italiana nasconde spesso alcuni "tranelli". La formazione del plurale di alcune parole, come "doccia" appunto, rientra tra questi. Scopriamo la regola grammaticale e le sue eccezioni.

La lingua italiana è ricca di termini “insidiosi” per quanto riguarda le regole grammaticali. Il plurale di doccia rientra tra queste insidie.Alcune parole sembrano, infatti, create appositamente per creare delle difficoltà al momento della coniugazione del plurale. Dunque si dice docce o doccie?

La regola grammaticale: docce o doccie?

Al momento di dover scrivere o pronunciare il plurale di “doccia”, spesso può sorgere un dubbio.
Docce o doccie? La grammatica italiana è molto chiara al riguardo ed esiste una regola generale da applicare. Vediamola.
Tutte le parole che terminano in -cia e -gia, come appunto doccia, ma anche provincia e ciliegia, giusto per citare le più comuni, formano il plurale in questo modo:

  • quando le sillabe -cia e -gia sono precedute da vocale trasformano sempre il loro plurale con le terminazioni -cie e -gie. Come ad esempio la parola “ciliegia” che diventa quindi “ciliegie” o non “ciliege”.
  • quando invece le sillabe -cia e -gia sono precedute da una consonante formano il plurale in -ce e –ge. Come ad esempio il termine “goccia” che si coniuga in “gocce”. Sono inserite in questa seconda tipologia anche le parole che finiscono in -scia che diventano -sce al plurale. Vedi il caso di “fascia” che diventa “fasce”.

Secondo questa regola grammaticale il lessico doccia trasforma quindi il suo plurale in docce. La sillaba finale -cia è preceduta appunto da una consonante, la “c”. In base al secondo punto sopra riportato, quindi, la parola forma il plurale in -ce e non in -cie.
Quindi: docce e non doccie.

Di seguito un video esplicativo di riepilogo della regola grammaticale appena esposta.

Il motivo della diversa formazione del plurale

Come abbiamo visto, se la sillaba –cia o –gia, è preceduta da una vocale o da una consonante cambia il suo modo di formare il plurale. Il motivo legato alla perdita della “i” è semplice. Tutto dipende dal fatto che questa vocale si pronunci o meno. Mentre nel termine singolare la vocale ha un suo peso fonetico, quando la sillaba è preceduta da una consonante va quindi a perdere la sua funzione e di conseguenza la “i” viene tolta.

L’eccezione alla regola grammaticale

Se cerchiamo sul sito dell’Accademia della Crusca troviamo riportato un divertente aneddoto in merito ai plurali cosiddetti “difficili”. Il sito ricorda la famosa scenetta dei due comici Cochi e Renato che, nell’incapacità di formulare il plurale della parola “belga”, dicevano appunto: “un belga… anzi due”.

L’eccezione di questo plurale consiste nel fatto che tutte le parole che terminano in -ca e -ga formano il plurale in -chi e -ghi anche nel caso di sostantivi femminili. La parola “belga” non segue però questa regola, rappresentando di fatto l’unica eccezione. Il suo plurale è, infatti, “belgi” per il maschile e “belghe” per il femminile. Il motivo sembra essere legato all’influenza, nella lingua italiana, del termine francese “belges” e del nome della nazione, Belgio appunto.

Altri plurali “non propriamente corretti”

Esistono, infine, una ridotta serie di termini che, anche se non rispettosi della regola grammaticale della lingua italiana appena analizzata, sono ormai entrati a far parte dell’uso comune del termine e considerati comunque corretti. Il termine più diffuso è sicuramente la parola “provincia” di cui, il dizionario oggi, accetta come plurale anche il non “grammaticalmente corretto” uso di “provincie” in alternativa a “province”.
In caso di dubbi è sempre bene avere un vocabolario a portata di mano per verificare l’esatta terminologia.

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La consultazione del dizionario

In ogni dizionario sono pubblicate tutte le parole appartenenti alla lingua italiana o che ne sono entrate a far parte nel tempo come i neologismi appunto. Rigorosamente in ordine alfabetico dalla A alla Z. Ogni dizionario italiano riporta una rigida struttura, definita da Bernard Quernada, appunto scienza “dizionaristica”. Si suddivide in una macrostruttura e in una microstruttura.

La prima parte riguarda le pagine iniziali di testo presenti in ogni vocabolario (introduzione, elenchi, abbreviazioni e altre appendici comuni). Si chiama invece microstruttura la classificazione che viene data ad ogni termine riportato. Questa rappresenta, infatti, l’insieme di tutti gli elementi che compongono la voce. I primi che si leggono, subito dopo la parola cercata, sono la trascrizione fonetica, la suddivisione in sillabe, l’indicazione della pronuncia, le varietà grafiche e le indicazioni morfologiche. Subito dopo troviamo invece l’indicazione della categoria grammaticale, la definizione, la fraseologia e gli esempi d’uso e infine i sinonimi e i contrari.
Sono le indicazioni morfologiche a doverci interessare andando alla ricerca di un plurale “difficile”. Sotto questo elemento il vocabolario, infatti, indica la corretta trascrizione del plurale e l’eventuale versione entrata a far parte del lessico comune come nel caso appena citato della parola “provincia”.