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Stadi di Serie A 2016/2017

Serie A

Quali sono gli stadi dell'attuale Serie A, e a chi appartengono? Facciamo il punto sugli impianti che ospitano la Serie A 2016/2017. Siamo ormai praticamente giunti a un terzo del campionato, e per quanto non abbia ancora emesso dei verdetti la Serie A comincia a dare delle indicazioni alquanto pre...

Quali sono gli stadi dell’attuale Serie A, e a chi appartengono? Facciamo il punto sugli impianti che ospitano la Serie A 2016/2017.

Siamo ormai praticamente giunti a un terzo del campionato, e per quanto non abbia ancora emesso dei verdetti la Serie A comincia a dare delle indicazioni alquanto precise. Una delle più significative è il continuo calo delle presenze nella maggior parte degli stadi. Colpa delle restrizioni dettate da chi gestisce l’ordine pubblico? Del troppo calcio in TV? Dell’entropia qualitativa del campionato italiano? Il dibattito è aperto, ma per dare un contributo significativo cominciamo dal principio. Ovvero, da dove si giocano gli incontri della Serie A. Gli stadi italiani, derisi e vituperati, vecchi e fatiscenti, spesso difficilmente accessibili e dalla visibilità ridotta. Ricapitoliamo quali sono gli impianti dove si gioca il campionato più bello del mondo.
Partiamo dagli impianti di proprietà. In Italia sono tre, e hanno storie fra loro diversissime. Lo Juventus Stadium, dove giocano i campioni d’Italia, è il prototipo di ciò che dovrebbe accadere, politica sportiva – e politica tout court – permettendo, un po’ in tutte le piazze, importanti e non, nel giro di non più di qualche lustro. Costruito in epoca antecedente alla legge sugli impianti sportivi, e con molte agevolazioni da parte del governo locale, a oggi rimane l’unico stadio “di seconda generazione” presente in Italia. In attesa di quello della Roma, se non sorgeranno complicazioni a livello istituzionale. Storia diversa per quanto riguarda il Mapei Stadium di Reggio Emilia, dove si è trasferito il Sassuolo, su iniziativa del suo facoltoso presidente Giorgio Squinzi, per onorare al meglio la Serie A: dal 2013, infatti, quello che un tempo fu il Giglio, è di proprietà della Mapei, azienda di Squinzi e sponsor dei neroverdi. Un sistema di naming rights è alla base anche della concessione che governa la Dacia Arena, ex Friuli, di Udine: di proprietà del Comune, è stato dato in concessione all’Udinese per 99 anni, scadenza 2112, come dire per l’eternità; il marchio automobilistico, già sponsor di maglia dei bianconeri friulani, ci ha messo la propria quota sotto forma, appunto, di naming rights.
Passiamo agli stadi “in condominio”, ovvero utilizzati alternativamente da due squadre. In Serie A sono cinque. L’Olimpico di Roma – per il quale vale il discorso fatto in precedenza sullo Stadio della Roma di Tor di Valle, con i giallorossi pronti a lasciare l’impianto non appena potranno disporre della loro nuova “casa” – è di proprietà del CONI: fiore all’occhiello delle Olimpiadi del 1960, oggi avrebbe bisogno di una riverniciata, ma per i rudi gladiatori del rugby – in occasione della recente Italia-Nuova Zelanda c’è stato il tutto esaurito – va bene anche così. Il Giuseppe Meazza o San Siro di Milano è un tempio del calcio, non fascinoso come l’Old Trafford o la Bombonera ma comunque ricco di storia: Milan e Inter ci giocano volentieri, anche perché il Comune di Milano lo concede a prezzi più che vantaggiosi, ma fra i nuovi e inquieti proprietari cinesi serpeggia il desiderio di costruire nuovi e più moderni impianti; che ne sarà della Scala del Calcio? Nessuno tocchi, invece, il Luigi Ferraris o Marassi di Genova, proprietà del Comune e tra gli impianti più belli d’Italia: Genoa e Sampdoria sono fortunate a giocare in questo vero gioiello, tra i pochi stadi all’inglese presenti nel nostro paese, a cominciare dalla caratteristica pianta rettangolare. Entra nella nostra casistica anche il Marcantonio Bentegodi di Verona, anch’esso di proprietà del Comune: in Serie A, per adesso, ci gioca il Chievo, ma deve comunque spartirselo con l’Hellas Verona, impegnato in cadetteria e in forte predicato per una nuova promozione. Stesso discorso per quanto riguarda l’Atleti Azzurri d’Italia, proprietà del comune di Bergamo: ci giocano Atalanta e – in Lega Pro – AlbinoLeffe. L’unica città che invece, allo stato attuale delle cose, ospita due stadi per altrettante squadre militanti nella massima serie è invece Torino: il Torino gioca infatti nello Stadio Olimpico Grande Torino, già Stadio Olimpico, già Stadio Comunale, già Stadio Benito Mussolini, di proprietà del Comune. Ci sarebbe di che scrivere un romanzo su come si è arrivati a questa parcellizzazione, che al Torino è quasi costata un fallimento, ma meglio glissare.
Tra gli altri impianti di un certo peso specifico, come storia e capienza, bisogna assolutamente citare il San Paolo di Napoli: lo stadio che più di tutti ha ammirato le gesta di Diego Armando Maradona merita un posto nel cuore di ogni amante del calcio, a prescindere dalla fede per questa o quell’altra squadra. Stesso discorso per quella che fu la casa di Giancarlo Antognoni, Roberto Baggio e Gabriel Omar Batistuta: l’Artemio Franchi di Firenze è impianto per palati raffinati. Sarà per questo motivo che il progetto del nuovo stadio della Viola, anelato dai fratelli Della Valle, sia per ora bloccato presso il Comune di Firenze, proprietario dell’impianto? Ricchi di gloria – forse più passata che presente -, anche il Renato Dall’Ara di Bologna (dove giocano i rossoblù “continentali” allenati da Roberto Donadoni), il Renzo Barbera di Palermo (casa dei rosanero) e il problematico Sant’Elia di Cagliari (feudo dei neopromossi rossoblù isolani) che avrebbe bisogno di una seria restaurazione: non a caso il presidente del Cagliari, Tommaso Giulini, sogna da tempo un nuovo impianto per la sua squadra.
Chiudono il cerchio gli stadi tradizionalmente “di provincia”. A partire da quella più sana e brillante: quella dell’Empoli, formidabile incubatrice di giovani talenti del calcio che verrà. Il piccolo Stadio Carlo Castellani – di proprietà del Comune di Empoli – fa la figura della pulce in mezzo ai colossi della Serie A, ma sembra che da quelle parti si respiri aria salubre, che favorisce la crescita dei giovani virgulti del football italico. Stesso discorso, anche se in misura storicamente minore, può essere rivolto all’Adriatico di Pescara, casa dei neopromossi abruzzesi: anch’esso è di proprietà del Comune. Chiudiamo la rassegna con un simpatico ritardatario: l’Ezio Scida di Crotone, casa dei neopromossi calabresi – ma anche degli Achei Crotone, locale team di football americano -, ha esordito in Serie A solo lo scorso 23 ottobre (Crotone-Napoli 1-2), a causa dei lavori di adeguamento che il Comune di Crotone – proprietario dell’impianto – ha dovuto eseguire in tutta fretta per omologarlo agli standard della Serie A. Le partite “casalinghe” precedenti, i pitagorici sono stati costretti a giocarle in esilio a Pescara. Effetti collaterali di una promozione imprevista.