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Texas: detenuto chiede aiuto agli agenti, loro lo uccidono

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'Non respiro': all'ennesima morte in un carcere americano vengono attribuite cause naturali "Non riesco a respirare" ripete ininterrottamente Michael Sabbie, detenuto 35enne afroamericano, padre casalingo di quattro figli. Viene pestato da diversi agenti, immobilizzato e spruzzato con un chimico al...

‘Non respiro’: all’ennesima morte in un carcere americano vengono attribuite cause naturali

“Non riesco a respirare” ripete ininterrottamente Michael Sabbie, detenuto 35enne afroamericano, padre casalingo di quattro figli. Viene pestato da diversi agenti, immobilizzato e spruzzato con un chimico al peperoncino. Poi è ributtato nella sua cella senza che nessuno si occupi della sue emergenza respiratoria. Sono queste le ‘cause naturali’ dei decessi a Bi State Jail. Ma andiamo con ordine.

Il 19 luglio 2015 Michael Sabbie viene arrestato con un’accusa di violenza domestica, per aver minacciato la moglie durante un litigio su questioni economiche. L’uomo è quindi trasferito nel carcere privato Bi State Jail, al confine tra Texas e Arkansas.
Fino al 2013, la struttura era gestita da una compagnia, uscita di scena perché non riusciva a trarne profitto. In quest’anno entra in scena LaSalle Corrections, una società for-profit che prende le redini di Bi State Jail e stipula un contratto con la contea di Bowie, dove si trova la struttura, prendendo a proprio carico i costi sanitari del carcere e indennizzando la contea contro qualsiasi reclamo o denuncia da parte dei carcerati o dei loro familiari.
Il 22 luglio Sabbie, obeso e con problemi ai polmoni, inizia ad accusare difficoltà respiratorie. In tribunale, dove si dichiara innocente, tossisce ripetutamente e sputa del sangue. In attesa di giudizio, viene riportato in carcere, dove la sua salute non migliora.
Non riesco a respirare‘ continua a ripetere, rivolto a un agente. Secondo quest’ultimo, Clint Brown, Sabbie avrebbe invece preteso di utilizzare il telefono e, al rifiuto del poliziotto, l’avrebbe aggredito. Quella dell’agente sarebbe stata solo una difesa.
Non è ciò che mostrano i nastri delle telecamere, in un video diventato virale solo in questi giorni: un uomo in evidente difficoltà che si appoggia alla parete e ripete più volte, straziato, una sola frase: I can’t breathe, “non riesco a respirare”. Clint Brown si avventa su di lui, lo trascina per un braccio fino a costringerlo con prepotenza sul pavimento, poi si china su di lui e inizia a picchiarlo. Brown è raggiunto da un secondo poliziotto, poi da un terzo, e in breve sono in cinque ad accanirsi sul detenuto. Dopo pochi minuti altri due agenti li raggiungono, ma a quel punto qualcuno ha già spruzzato dello spray al peperoncino sul viso di Sabbie. Tutto questo nonostante le sue suppliche, che riecheggiano quelle di Eric Garner, afroamericano ucciso nel 2014 a New York da un poliziotto, per soffocamento.
Sabbie è trascinato e rinchiuso nella sua cella, privo di sensi. Nessuno si preoccupa dell’allarme da lui lanciato e che ha suscitato, anziché soccorso, un pestaggio militare: non respirava. Sabbie si sveglia il mattino dopo ed è portato in infermeria. Non riesce a respirare, lo ripete, crede di essere affetto da una brutta polmonite, ma Tiffany Venable, l’infermiera, lo congeda e lo rimanda nella sua cella. Quando, poche ore dopo, Sabbie è trovato privo di vita sul pavimento, Venable dichiara di aver visitato regolarmente il detenuto e di non aver notato segni di polmonite, come avrebbe annotato nel modulo della visita, misteriosamente scomparso, “probabilmente archiviato nel posto sbagliato”.

Nessuno contraddice questa versione. O meglio, in molti lo fanno, ma nessuno di coloro la cui parola conta formalmente. I medici legali attribuiscono parlano di ‘morte naturale’: Sabbie era malato, aveva problemi respiratori, i suoi polmoni erano provati e i muscoli del suo cuore logorati. I pestaggi e il chimico al peperoncino hanno contribuito poco o niente affatto al peggioramento del suo stato di salute e al suo decesso.
Un problema di razzismo? Forse. Forse no. Probabilmente in parte. Non dimentichiamo, in Italia, il caso Cucchi, che tanto scandalo ha destato in questi giorni per l’affermazione del medico legale ‘morto per epilessia’. Non si può non notare una certa affinità.

Senza voler negare l’aggravante della discriminazione razziale di cui sistematicamente si macchiano gli Stati Uniti, il cuore della questione è l’abuso di potere da parte delle autorità, che dovrebbero essere garanti dell’incolumità di tutti i cittadini (detenuti inclusi), nei confronti di chi si trova in una situazione di debolezza, quale che ne sia il motivo. Perché giovane e impreparato, nel caso di Cucchi. Perché nero e povero, guardando Sabbie.

Ci troviamo davanti all’ennesimo occultamento da parte delle forze dell’ordine. Ma, questa volta, i familiari di Michael Sabbie ha un video a parlare per e con loro.Sabbie begs for help before dying in prison