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Uccise il compagno con spada giapponese, condannata a 12 anni

katana

Uccise con una katana, condannata a 12 anni, per i giudici non è stato omicidio volontario ma preterintenzionale.

Katana, è una spada giapponese che come primo acchitto fa subito pensare ad un’arma per uccidere. Ma questo, invece, non è stato il pensiero dei giudici che hanno stabilito che Valentina Aguzzi, 44 anni, imputata dell’omicidio del suo compagno Mauro Sorboli, 40 enne, avvenuto lo scorso marzo a Milano, non ha agito con l’intenzione di uccidere.

La donna aveva raccontato che durante un litigio con il compagno aveva impugnato la spada minacciando di uccidersi, ma che poi, nella frenesia della lite e, probabilmente, delle parole grosse che sono volate in quel tragico momento, avrebbe lanciato la spada contro di lui, uccidendolo.

A quanto dai giudici ritenuto, quindi, e confermato con un preciso verdetto, si è trattato solo di un tragico incidente. Il giorno in cui la donna, presa da un moto di rabbia durante una discussione con il suo compagno, ha afferrato la katana di lui, e l’ha colpito, non aveva intenzione di uccidere. Valentina, infatti, probabilmente non poteva sapere, o non ricordava, quanti danni questa arma potesse provocare.

È stato così, infatti, che con la pericolosissima lama ha reciso l’arteria femorale del suo compagno Mauro, facendolo morire dissanguato. Valentina Aguzzi è stata condannata a 12 anni di carcere non per omicidio volontario ma per omicidio preterintenzionale. Questa sentenza, quindi, ribalta di fatto le richieste dell’accusa che chiedeva che la donna fosse condannata per omicidio colposo.

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La katana

La katana, italianizzato con catana, è la spada giapponese per antonomasia. Anche se molti giapponesi usano questa parola per indicare genericamente una spada, il termine katana si riferisce più specificamente ad una spada a lama curva e a taglio singolo di lunghezza superiore a 2 shaku (60 centimetri circa) usata dai samurai.

Nonostante permettesse efficacemente di stoccare, la katana veniva usata principalmente per colpire con dei fendenti, impugnata principalmente a due mani, sebbene Musashi Miyamoto, ne Il libro dei cinque anelli, raccomandasse la tecnica a due spade, che presupponeva l’impugnatura singola. Veniva portata con il filo rivolto verso l’alto, in modo da poterla sguainare velocemente con abili movimenti, e che in nessun modo il filo della lama potesse danneggiarsi nel tempo sfregando, a causa della forza di gravità, contro l’interno del fodero.

L’arma era portata di solito dai membri della classe guerriera insieme alla “wakizashi“, una seconda spada più corta (fra 1 e 2 shaku). La combinazione delle due spade era chiamata daishō (大小), e rappresentava il potere o classe sociale e l’onore dei samurai, i guerrieri che obbedivano al daimyō (feudatario). Più precisamente la combinazione daishō era costituita fino al XVII secolo da tachi e tantō, e solo in seguito da katana e wakizashi.

La katana come noi lo conosciamo inizia ad apparire intorno alla metà del periodo Muromachi (1392-1573), in particolare con la massificazione del combattimento del Sengoku Jidai; si tratta in essenza di una rivisitazione delle spade da cavalleria usate nei secoli precedenti che vengono adattate ad un utilizzo da fanteria. Sono lame più corte e con una curvatura meno pronunciata, non vengono più montate in configurazione tachi ma in uchikatana (con la lama rivolta verso l’alto). Molte lame antiche vengono accorciate (o-suriage) e trasformate in katana.