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16 anni senza Mastroianni

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Nel 1996, come in una scena mai girata da Fellini, una folla di paparazzi si accalcò all’altezza del numero 19 di rue de Seine, pochi giorni prima di Natale. Un ciociaro dal sorriso disarmante e dal talento incommensurabile si era spento nella sua casa parigina a settantadue anni. Decine di “Ad...

sunflower marcello mastroianni 1970Nel 1996, come in una scena mai girata da Fellini, una folla di paparazzi si accalcò all’altezza del numero 19 di rue de Seine, pochi giorni prima di Natale. Un ciociaro dal sorriso disarmante e dal talento incommensurabile si era spento nella sua casa parigina a settantadue anni. Decine di “Adieu, Marcello!” inondarono i mass-media il giorno dopo.

Una lunga storia, quella di Mastroianni, che cominciò nel 1924 a Fontana Liri. Dopo un breve soggiorno a Torino, nel 1933 si stabilì definitivamente a Roma, dove cominciò a recitare sul palcoscenico della parrocchia dei Santi Fabiano e Venanzio. Poco dopo arrivarono il debutto a quattordici anni in “Marionette” e i primi contatti con Vittorio De Sica a Cinecittà. Un tempo in cui nessuno poteva immaginare quanto il cinema e la vita li avrebbero legati.

Dopo la parentesi della Seconda Guerra Mondiale, un piccolo ruolo in un dramma di Lessing gli diede la possibilità di mettersi in luce e conoscere Giulietta Masina, da poco sposatasi con Federico Fellini, due figure fondamentali per la sua carriera. Il direttore offrì al giovane attore il suo primo ruolo da professionista in “Rosalinda o Come vi piace” di Shakespeare e poi in “Un tram che si chiama Desiderio”, a fianco di Vittorio Gassman.

Il 1954 fu l’anno della svolta cinematografica. Giuseppe De Santis gli affidò il ruolo principale nella commedia sociale “Giorni d’amore”, che regalò a Mastroianni il primo Nastro d’Argento. Ma la vera popolarità arrivò con “Peccato sia una canaglia”, tratto da un racconto di Moravia e che, oltre a riportargli
la sua prima Grolla d’Oro, fece nascere un trio artistico che lascerebbe un’impronta indelebile nella storia del cinema: Sophia Loren, che Marcello aveva già conosciuto come comparsa in “Cuori sul mare” con il vero cognome Scicolone, ed il citato De Sica.

I film successivi approfondirono nel clichè del personaggio bello e ingenuo, e fu il suo mentore Luchino Visconti, che aveva fatto di lui un grande attore di teatro, a consentirgli di dimostrare tutta la sua profondità drammatica nella trasposizione cinematografica del romanzo di Dostoievski “Le notti bianche”, con un personaggio più complesso rispetto agli incantevoli tassinari per cui era diventato famoso che valse a Mastroianni un altro Nastro d’Argento e gli elogi della critica.

L’affermazione definitiva arrivò nel 1958, grazie a “I soliti ignoti”, la celebre banda di ladri in cui affiancò, tra altri mostri sacri della cinematografia, Gassman e Totò. Dopo questo capolavoro assoluto della commedia all’italiana diretto da Mario Monicelli, gli anni ’60 aprirono la porta alla perfetta intesa fra Mastroianni e Fellini con “La dolce vita” -terzo Nastro d’Argento- e l’esercizio metacinematografico “Otto e ½”, due film che segnarono la sua consacrazione ed il passo da attore a vero divo.

Ma da uomo brillante e autoironico aborrì sempre ogni etichetta e decise di non seguire il filone di personaggi di “sciupafemmine” dai quali si vedeva sommerso, e accettò di interpretare il ruolo di un impotente ne “Il bell’Antonio”, accanto a Claudia Cardinale, e soprattutto la parte di un nobile siciliano squattrinato e grottesco in “Divorzio all’italiana”, che gli riportò, tra altri premi, il BAFTA, il Golden
Globe e la nomination all’Oscar come migliore attore protagonista, prima assoluta per un italiano.

Il produttore Carlo Ponti sfruttò con successo il consenso che l’Italia aveva sul mercato americano, dove era vista come terra dove la bellezza e l’arte si esprimevano al grado massimo, con due film che fecero rivedere il trio Mastroianni-Loren-De Sica: “Ieri, oggi, domani” e l’adattamento della “Filumena Marturano” eduardiana intitolato “Matrimonio all’italiana”. Entrambi i film vennero candidati all’Oscar, vincendolo il primo su più quotati avversari.

Dopo l’esperienza nella commedia musicale e il fallito progetto felliniano de “Il viaggio di G. Mastorna”, Mastroianni ritornò in Italia e gli anni ’70 furono testimoni di alcuni dei suoi ruoli più intensi. Ritrovò Elio Petri, a dieci anni dal film di fantascienza “La decima vittima”, per girare “Todo modo”, ispirato al romanzo di Sciascia e che gli valse molte lodi e un’altra Grolla d’Oro, e “Le mani sporche”, il suo debutto in uno sceneggiato televisivo.

Fu Ettore Scola, nel 1977, a riunirlo ancora una volta con la Loren nel suo capolavoro “Una giornata particolare”, che diede luogo a una delle loro interpretazioni più emozionanti e lontane dai clichè, e per cui Mastroianni venne nominato all’Oscar per la seconda volta.

Dopo il rincontro con Fellini nella polemica “La città delle donne”, girò con Marco Bellocchio “Enrico IV”, adattamento da Pirandello previsto per la televisione ma passato al grande schermo per la sua qualità, dove Marcello si impegnò un gran ruolo da mattatore teatrale. Nella stessa decade divenne protagonista di “Splendor” e “Che ora è?”, entrambi diretti da Ettore Scola e con Massimo Troisi come partner. Fu il secondo film a riportargli ex aequo la Coppa Volpi alla Mostra del Cinema di Venezia nel 1989.

Ma mancavano ancora due interpretazioni commoventi in “Oci ciornie”, diretto da Nikita Michailkov e ispirato a diversi racconti di Cechov, che gli riportò la terza nomination all’Oscar, e “Sostiene Pereira”, tratto dal romanzo di Antonio Tabucchi. Il vecchio giornalista portoghese che ritrova la dignità e lo spirito ribelle durante il regime salazarista gli diede l’ultimo David della sua carriera, un anno prima della sua morte.

Unico. Immenso. Ineguagliabile. Più di un centinaio di film e settantadue anni di vita intensa e discreta, elegante e lontana dalla mondanità. Mastroianni assomigliò alla città a cui fu legato la maggior parte della sua vita. Lui, come Roma, fu carnale e affascinante, un seduttore naturale, capace di destreggiarsi perfettamente sia nei ruoli drammatici, sia in quelli comici, di rappresentare con un solo sguardo la
natura umana con una profondità e una verità stravolgenti.

Perciò non ha senso dire “adieu”. Per i miti non cala il sipario.

Sempre… “Arrivederci, Marcello”.