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Recensione THE REVENANT

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Spettacolare esercizio di stile con un Di Caprio sprecato La curiosità di vedere questo film era tanta, per gli amanti di Inarritu e non.Il regista messicano si allontana in parte con “The Revenant” dal suo stile abituale ma solo in apparenza. Dimentichiamoci le inquadrature alla “Birdman”...

Spettacolare esercizio di stile con un Di Caprio sprecato

La curiosità di vedere questo film era tanta, per gli amanti di Inarritu e non.Il regista messicano si allontana in parte con “The Revenant” dal suo stile abituale ma solo in apparenza. Dimentichiamoci le inquadrature alla “Birdman” con l’uso ossessivo della telecamera, gli ambienti claustrofobici e soffocanti, perchè qui l’occhio si perde, spazia, rapito da una natura sconfinata, selvaggia che la fa interamente da padrone.
Il manto bianco, sfavillante, della neve colpisce di più dello sguardo allucinato del protagonista, un Di Caprio dolorante per quasi tutta la durata della pellicola, più simile a una bestia ferita che a un essere umano. Un vero peccato visto che abbiamo imparato ad apprezzarlo per la sua sublime capacità espressiva e le sue innate doti attoriali fin dai tempi di “Buon compleanno Mr. Grape” o del bellissimo ”La stanza di Marvin”.
Che dire, Inarritu è Inarritu. Un regista di indiscussa qualità, che con “The Revenant”, riesce senz’altro a restituirci il realismo della vita durissima dei trapper delle montagne del nord America di quell’epoca; sembra di essere lì, di avvertire perfino il cattivo odore delle ferite, del sangue, degli animali squartati e in questo, non c’è che dire, è davvero imbattibile. La credibilità è la sua cifra stilistica più notevole ma detto questo e spese tutte le lodi possibili per luci, scenari e fotografia mozzafiato, 12 nominations all’Oscar sembrano davvero eccessive per questo film.
Oltre a ciò, ripensando alle inquadrature degli alberi mossi dal vento, dei fumi, della superficie dell’acqua trasparente, tutte ravvicinate fino all’inverosimile, è impossibile non fare il confronto con Terrence Malick, constatando che siamo lontani anni luce da quella poesia ed anche da quella profondità.
Tutto qui è primordiale, pochissime le parole (Di Caprio non fa che grugnire per la maggior parte del tempo) ma anche la profondità dei personaggi è ridotta all’osso. Non trapela mai veramente uno straccio d’anima da quegli occhi sbarrati, iniettati di sangue. Forse è questa la vera bravura? Mah. Eravamo abituati a ben altro. Cosa non si fa per ricevere un Oscar, dunque.
C’è da temere che se non dovesse riuscire neanche stavolta a conquistare l’ambita statuetta, Di Caprio, nel prossimo film, si metta a recitare (Dio non voglia) nei panni dell’orso grizzly, tanto per restare in tema. Coraggio Leo, viene da dire, siamo tutti con te, non c’è davvero bisogno che arrivi a tanto, per noi quel dannatissimo oscar lo hai già vinto almeno un milione di volte.

Jole De Castro