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Annamaria Franzoni, la nuova vita della mamma di Cogne

La nuova vita di Annamaria Franzoni

Annamaria Franzoni è libera e vive in silenzio in un paese in provincia di Bologna. È circondata dalla famiglia e dai vicini che l'hanno riaccolta.

Pochi omicidi sono rimasti impressi nella memoria degli italiani quanto il delitto di Cogne. In tanti ricordano quel 30 gennaio 2002, quando il piccolo Samuele, di appena 3 anni, morì in seguito a un’aggressione nella sua casa in Valle d’Aosta. Per il suo decesso è stata condannata a 16 anni la madre, Annamaria Franzoni. La donna fece ricorso in appello e riuscì a ottenere la commutazione della detenzione nel carcere della Dozza, allo scadere dei primi 6 anni, in arresti domiciliari. La sua pena è terminata con tre mesi di anticipo per buona condotta, il 7 febbraio 2019. Oggi Annamaria vive a Monteacuto Vallese, paesino in provincia di Bologna, dove si è trasferita alla fine dei domiciliari trascorsi nel vicino borgo di Ripoli Santa Cristina. Con lei abitano il marito Stefano Lorenzi e il figlio minore, Gioele, nato un anno dopo la morte di Samuele. La famiglia non l’ha mai abbandonata e ha sempre creduto alla sua innocenza.

La nuova vita della Franzoni

La famiglia Lorenzi-Franzoni ha dovuto abbandonare Cogne, pur continuando a possedere la villa dove ha perso la vita il piccolo Samuele. Il tribunale, concedendo alla Franzoni i domiciliari, aveva stabilito che la donna non potesse tornare nel comune valdostano. Allo scadere dell’impedimento però, Annamaria ha soggiornato, a novembre 2018, proprio nella casa in cui si è consumato il terribile delitto. Una presenza notata dai vicini, che hanno espresso opinioni discordanti in merito alla vicenda. C’è chi prende le sue difese e chi, invece, non apprezza la vicinanza della donna.

Annamaria, oggi 48enne, vive in silenzio nella casa di Monteacuto Vallese, paese degli anziani genitori, dove è circondata da persone che la conoscono fin da bambina. In un’intervista a Libero aveva annunciato che una volta scontata la pena sarebbe voluta andare all’estero. “Sarà la prima cosa che farò” aveva detto, “qui non ci voglio più stare e non voglio parlare con nessuno. […] Voglio essere dimenticata“.

Annamaria col piccolo Gioele

Il debito con l’avvocato Taormina

Il delitto di Cogne è una vicenda senza fine. A dicembre 2019 Annamaria Franzoni ha dovuto affrontare un nuovo episodio giudiziario contro uno dei suoi primi legali, Carlo Taormina. Nel 2017 l’avvocato aveva ottenuto che la donna gli dovesse una somma pari a 275mila euro per l’attività difensiva svolta, nonostante la famiglia Franzoni sostenesse che gli fosse stata concessa a titolo gratuito. Ad oggi, sommati Iva e interessi, la quota ammonta a 470mila euro, ma, come detto dallo stesso Taormina, la donna è impossibilitata a pagare. L’avvocato ha pertanto richiesto il pignoramento della villetta di Cogne: “La rivendevo, che mi importa”, ha dichiarato. Ma gli attuali legali della Franzoni hanno avuto la meglio, grazie a un vizio nella notifica dell’atto di pignoramento e all’inserimento della casa in un fondo patrimoniale.

la villetta di cogne

La sua versione

Durante tutta la durata del processo, Annamaria Franzoni si è sempre dichiarata innocente e ha attribuito la morte del figlio a uno sconosciuto. Alla polizia ha raccontato di essersi allontanata da casa, quella mattina, per accompagnare il primogenito a scuola. Quando è tornata, ha trovato Samuele che vomitava sangue. Ma per gli inquirenti gli 8 minuti che separano l’uscita della donna da casa e il suo rientro non sono sufficienti perché uno sconosciuto potesse entrare, aggredire il bambino e scappare senza lasciare traccia. Inoltre, non si spiega la violenza con cui il piccolo è stato colpito: il suo cranio portava i segni di 17 colpi, oltre a diverse ferite alle mani. L’arma del delitto non è mai stata ritrovata.

Date le gravi condizioni, Samuele è stato portato all’ospedale di Aosta, ma è morto durante il volo in eliambulanza. Secondo diversi testimoni del paese, Annamaria era ossessionata dalle dimensioni del cranio del figlio. Temeva che la sua testa giudicata troppo grande fosse segno di una malattia o di una disabilità. Questo timore potrebbe essere stato la causa del raptus omicida.