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Aquarius: una storia lunga un'era

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L'Aquarius, nave carica di migranti, si è vista negare l'accesso ai porti italiani. Dopo giorni di navigazione è finalmente sbarcata in Spagna.

“Datemi i vostri stanchi, i vostri poveri, le vostre masse infreddolite desiderose di respirare liberi, i rifiuti miserabili delle vostre coste affollate. Mandatemi loro, i senzatetto, gli scossi dalle tempeste, e io solleverò la mia fiaccola accanto alla porta dorata”. Queste sono le parole che dal 1903 la Statua della Libertà lancia dalle coste americane verso est. che si infrangono sullo scafo dell’Aquarius, rifiutata dai porti italiani e da giorni per mare.

Un messaggio di libertà

Coste che nel corso del secolo hanno accolto, tra gli altri, anche centinaia di migliaia di italiani. Persone che, fuggendo dalla fame e in cerca di una vita migliore, decisero di lasciarsi tutto alle spalle e partire con valige di cartone verso un mondo sconosciuto. Che verso la comunità italiana non era certamente amichevole. Ma che comunque – e certamente con tutti i suoi limiti, che non sono certamente stati pochi – ha saputo accogliere chi fosse in cerca di una vita migliore, e si riconoscesse negli ideali degli Stati Uniti. Ideali di libertà e uguaglianza che non nascevano negli States, ma che lì approdarono assieme ai primi emigrati europei, in fuga da un continente in guerra, in cui la libertà religiosa era ancora un miraggio. Una frase che nel mondo del 2018 appare aver perso ogni suo significato.

La Nascita dell’Unione Europea

Dopo la seconda guerra mondiale, sulle macerie dei nazionalismi europei abbiamo ricostruito il continente. Questa volta però, nel tentativo di metterlo al riparo da ulteriori devastazioni, si è cercato di costruire una casa comune in grado di assorbire le tensioni che sarebbero potute manifestarsi. Una casa comune che adesso si chiama Unione Europea, a cui affidiamo quotidianamente il difficile compito di trovare una ricomposizione di interessi anche profondamente diversi.

Una casa però mai veramente completata, le cui fondamenta cominciano a scricchiolare sotto il peso di alcuni fenomeni. Ma che in realtà è in crisi poiché sta mutando il paradigma di fondo della politica internazionale, che vive sempre di più di relazioni centrate sul perseguimento dell’interesse nazionale. Un interesse composto da interessi legittimi, naturalmente. Interessi che secondo questa nuova “vecchia” visione – di cui il presidente Trump è sicuramente miglior interprete – vanno affermati attraverso la minaccia di ritorsioni. E con l’approccio di gioco a somma zero.

Osserviamo quindi una sempre più marcata preferenza per strumenti diplomatici bilaterali piuttosto che multilaterali. Una crisi di sistema resa oltremodo manifesta dalla paralisi di organizzazioni come le Nazioni Unite, ormai nella condizione di non essere in grado di offrire risposte comuni a problemi comuni. Questo a causa del gioco dei veti incrociati di cui è vittima il Consiglio di Sicurezza. Ad aggiungere difficoltà, la grave crisi economica del 2008. Una crisi costata parecchio, e pagata sopratutto dalle fasce più povere della popolazione. intere fette della società privata del lavoro, poiché messa in competizione con la manodopera a basso costo proveniente dai paesi dell’est europeo. In un mondo in cui, anche per grandi gruppi industriali, produrre in Cina e importare costa infinitamente meno che produrre qui.

Quali minacce dopo l’URSS?

Anche le fonti di insicurezza percepite sono profondamente mutate nel tempo. Infatti se fino all’ammainabandiera del 26 dicembre 1999 il solo rischio percepito dall’occidente risiedeva nell’Unione Sovietica, nel 2018 la situazione è molto diversa.

E se il terrorismo è un nemico sicuramente comune alla famiglia europea, per i paesi posti nell’est la minaccia principale rimane il revanscismo russo. Ma vista dal fronte sud questa minaccia appare come lontana e aleatoria.
Questa differente percezione, accompagnata dall’elezione in Europa orientale di governi dalla forte componente nazionalistica ed etnica, ha finora reso il raggiungimento di un accordo complessivo europeo sui migranti una chimera. Condannando quindi il belpaese ad addossarsi gli sforzi maggiori per quanto riguarda il recupero delle imbarcazioni di migranti alla deriva nel Mediterraneo.
Operazioni di recupero che sono onerose ed operativamente molto impegnative per la nostra Marina Militare. Sopratutto data la ristrettezza economica in cui essa deve operare. Dobbiamo infatti considerare che in Italia si destina circa lo 0.8% del PIL alle spese della difesa a fronte di un 2% richiesto dalla NATO. Uno sforzo che sottopone i mezzi navali ad una forte usura, e che data la frequenza delle missioni e le ristrettezze economiche, impedisce anche alcune operazioni di manutenzione basilare dei mezzi.

L’italia da sola

Quindi non può certo apparire strano che il nostro paese si senta lasciato solo. Una solitudine avvertita in modo particolare negli ultimi giorni. Accentuata dalla dichiarata e manifesta indisponibilità dei nostri vicini d’oltralpe a farsi carico del problema,e portata all’esasperazione dalle infelici dichiarazioni di Macron e del suo portavoce. Dichiarazioni che tuttavia seguono molto probabilmente logiche di politica interna, con un presidente che sa di doversi confrontare con il Front National di Marie lePen, e con il suo approccio alla questione migranti. Un presidente che quindi, in un momento di difficoltà politica dovuta alla ostilità della popolazione a riforme proposte dal suo governo, non vuole prestare il fianco ad attacchi su questo fronte.

Anche in Germania la cancelliera affronta un simile problema, faticando a mantenere la linea tutto sommato di apertura mantenuta finora nei confronti dei rifugiati, con alternative für deutschland che sulla questione migranti gestisce buona parte della propria piattaforma elettorale. E che nei sondaggi prende sempre più piede.

Questi i vincoli all’azione politica dei governi dei nostri vicini europei. Ma cercare di comprenderne le motivazioni non può voler certo dire voler fornire una giustificazione al comportamento francese, che appare quasi schizofrenico. La Francia ha i propri porti chiusi da anni. Lungo il confine italiano, presso Ventimiglia e Bardonecchia quest’inverno abbiamo assistito a comportamenti – da parte delle autorità francesi – che non li pongono certo nella condizione di dare lezioni di umanità a chi, ormai da anni, si fa carico del problema. Con un sistema di gestione che necessita sicuramente di essere migliorato, ma che finora – pur con tutti i suoi limiti – ha cercato di non lasciare nessuno indietro.

L’Aquarius, nel mezzo

In questo contesto si inserisce la sfortunata vicenda della nave Aquarius, e delle 600 persone a bordo. In mare ormai da giorni, e dopo essersi vista impedita l’attracco nei porti italiani, è arrivata con il suo carico di persone in Spagna. Le affermazioni di chi, tra quei naufraghi, esprime un certo grado di insofferenza al fatto di aver pagato un biglietto per l’Italia e ritrovarsi diretti verso il paese iberico non meritano certamente un commento: ovviamente non si tratta da navi da crociera.

Alle persone sulla nave sono stati assicurati viveri e medicinali, e per questioni di sicurezza buona parte dei naufraghi a bordo sono stati spostati su due navi della guardia costiera. Le condizioni del mare, in peggioramento, costringono per ora il convoglio a rimanere al riparo delle coste della Sardegna ad aspettare il passare della tempesta. In queste stesse ore il Ministro dell’Interno fa sapere che non sarà dato nessun permesso di attracco, neppure temporaneo. Lasciando quindi le persone e gli equipaggi coinvolti a dover affrontare la traversata verso Valencia. Che dovrà comunque passare per un tratto di mare – il golfo del Leone – sempre particolarmente agitato, con quello che può significare per delle persone già provate da un viaggio di cui il tratto in mare rappresenta solamente l’appendice finale.

La presa di posizione del Ministero

Una posizione quella del ministero, che seppur comprensibile date le promesse elettorali, rischia di gettare un’ombra su tutto il lavoro svolto in questi anni dagli uomini della Marina Militare, che giorno dopo giorno hanno incessantemente lavorato seguendo le direttive politiche ad essi fornite, oltre che una delle più antiche regole del mare, l’obbligo di soccorso in mare.
Una linea che non è detto che sia in grado di dare gli effetti di lungo periodo sperati, in quanto la modifica dei trattati relativi al recupero e alla redistribuzione dei rifugiati non sarà certamente un processo veloce. E non è detto che i nostri partner siano disponibili a concessioni se spinti ad esse usando una logica ricattatoria.

Le rivendicazioni politiche

Inoltre è il caso di sottolineare che qualunque rivendicazione politica, sopratutto se legittima, non potrebbe e non dovrebbe usare la vicenda umana di queste 600 persone. La cultura occidentale è figlia delle tradizioni greche e romane, che nei secoli si sono intrise del cristianesimo intanto diffuso lungo le sponde del Mediterraneo. Una cultura fondata sull’accettazione del diverso e dello straniero, del confronto, e dello scambio. Uno scambio che è sempre stato sì economico, ma anche culturale.

Molto bene quindi cercare di coinvolgere i nostri partner nella gestione di quello che è un problema per tutti i paesi della famiglia europea. Questo per cercare di stabilire delle nuove regole condivise che permettano una maggiore ripartizione dei compiti di pattugliamento del mare. Buona e necessaria anche l’idea di intervenire (dove possibile) nei paesi di partenza, e in quelli di transito come il Niger. Ma per fare questo bisogna tenere a mente che come singolo paese non abbiamo ne mezzi ne fondi per affrontare missioni di tale portata, se non nei contesti NATO e UE. Ma sopratutto bisogna considerare che – per motivi strutturali e storici italiani, la nostra classe politica non ha la forza di sostenere il peso politico dei soldati italiani che in tali operazioni morirebbero.

Il futuro

La gestione della politica internazionale richiede pazienza, coordinazione e una buona dose di sangue freddo. Mentre è sicuramente un merito del governo aver portato la questione con forza all’ordine del giorno europeo, innescare una escalation nei toni e minacciare la rottura dei rapporti diplomatici con la Francia o con gli altri partner del continente è difficile che possa produrre l’esito di una maggiore cooperazione. Ed è altresì improbabile che tenere in ostaggio del mare 600 persone possa giovare in qualche modo agli interessi del nostro paese. Nell’interesse del paese sarebbe la stabilizzazione dei paesi di partenza e di transito, in particolare la Libia, ma per fare questo è necessaria la ricerca di un’accordo con gli altri player presenti nella regione. Compito certamente arduo, alla cui esecuzione non gioverà certo un’inasprimento delle relazioni con l’Europa.

Sarebbe inoltre utile per il governo riuscire a ridare uno slancio al paventato accordo di cooperazione con le autorità del Niger. Accordo che ricordiamo essere stato sospeso nei mesi scorsi per quelle che possiamo definire una serie di incomprensioni con il governo locale, ma che sono probabilmente superabili. Un’altra partita, data la situazione sul campo, dalla quale non possiamo pensare di escludere la Francia

Le prospettive

Possiamo sicuramente affermare quindi che è necessario riuscire a coinvolgere i nostri partner europei per riuscire a trovare delle forme di cooperazione.una redistribuzione degli sforzi, sia in mare, sia nella redistribuzione dei rifugiati una volta sbarcati sul continente. Ma è necessario per questo fare un paziente lavoro di tessitura delle relazioni sulla base di progetti specifici, più che chiedere l’interruzione delle relazioni diplomatiche, o procedere per ricatti.

L’Europa, anche se dotata di istituzioni è ad oggi composta da stati. Bisognerebbe infatti considerare che anche una volta rimossa l’Unione, non troveremo certo un ambiente più favorevole alla condivisione dei nostri sforzi. Ma il blocco europeo si ritroverebbe ad essere composto da una serie di stati avvitati su se stessi. Con un risultato che sarebbe opposto di quello paventato dai sostenitori dell’uscita dall’UE, andando a ridurre in maniera sensibile la possibilità di ognuno di essi di influire sullo scenario globale, condannando ognuno di noi ad una lotta con i nostri vicini.

Salvaguardare le nostre origini culturali

Se esiste il rischio di smarrire le nostre origini culturali, non è certo causato dalla presenza di un numero di migranti che non ci permette certo di parlare di sostituzione etnica. Il rischio per la nostra cultura e la nostra identità risiede nella perdita dei valori di tolleranza e di libertà del singolo. Non si capisce in che modo abbandonarsi ad atti che rappresentano la negazione di questi valori sarebbe il modo giusto di salvaguardarli.

Valori per la cui affermazione sono state combattute guerre intestine al vecchio continente, costate centinaia di migliaia di vite europee. Pensieri la cui affermazione ha impegnato secoli di guerre di religione, rivoluzioni e controrivoluzioni . Valori il cui mantenimento non è e non sarà certamente da considerarsi gratuito.

È quindi da considerarsi giusto non accettare che gli altri paesi, menando il can per l’aia, impediscano una seria e condivisa gestione del fenomeno migranti. Ma è necessario tenere a mente che per un grande paese quale è il nostro questo non può e non deve essere fatto sottoponendo 600 persone a più sofferenza di quanta non ne sia stata già loro inflitta.