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AstraZeneca, dall'immunologo Mantovani arrivano nuove ipotesi sulla trombosi

AstraZeneca,nuove ipotesi da Mantovani

L'immunologo Alberto Mantovani fa il punto sulle terapie in corso di sperimentazione: vediamo nel dettaglio.

Dal Corriere arriva un’intervista molto interessante all’immunologo Alberto Mantovani, che si esprime circa le decisioni di diversi Paesi di cambiare i criteri di somministrazione del vaccino AstraZeneca. Decisioni che hanno disorientato non poco molti italiani e non solo.

Alberto Mantovani: nuove ipotesi di trombosi in relazione al vaccino Astrazeneca

L’immunologo si mostra comprensivo circa l’esitazione di fronte ai diversi messaggi contraddittori che arrivano sul vaccino AstraZeneca poichè queste diverse opinioni generano solo incertezza. Per cui, è importante analizzare tutti i dati disponibili.

I casi gravi di trombosi osservati in relazione al vaccino potrebbero essere forse causati, secondo una recente pubblicazione, dalla formazione di autoanticorpi, come succede, in rarissimi casi, durante trattamenti con eparina: una condizione definita Vipt (Vaccine induced prothrombotic immune thrombocytopenia). Se confermata, l’osservazione potrebbe guidare la diagnosi e la terapia di questi, pur molto rari, eventi avversi. Per ora l’analisi condotta da Ema sul vaccino Oxford AstraZeneca ha rassicurato sul fatto che non causi un aumento della frequenza di tromboembolia, aspettiamo ulteriori analisi. In Gran Bretagna non si è osservato un eccesso di eventi tromboembolici nei 20 milioni di persone vaccinate con Oxford AstraZeneca rispetto ai vaccinati con BioNTech Pfizer e rispetto a quanto normalmente atteso. In Humanitas abbiamo vaccinato oltre 22 mila persone senza problemi inattesi. Aspettiamo altri dati, ma tre giovani donne della mia famiglia si sono vaccinate con Oxford AstraZeneca e io sono tranquillo”.

Ovviamente ciascuno di noi si chiede spesso se chi ha già contratto il Covid deve vaccinarsi: Mantovani in merito a ciò sottolinea che è chiaro che la malattia dia un certo grado di protezione, stimata all’80% . Non a caso, dati molto recenti sul personale sanitario britannico e sulle persone in Danimarca hanno confermato che chi ha già contratto il Covid ha un grado di protezione pari solo al 40% in coloro che hanno più di 65 anni. “Quindi chi ha avuto il Covid deve vaccinarsi, però diversi studi dimostrano che è sufficiente una sola dose, cosa che, fra l’altro, farebbe risparmiare due milioni di dosi di vaccino in Italia, mentre su scala globale questa strategia “salverebbe” cento milioni di vaccini a costo zero. Preoccuparsi di questo aspetto è nel nostro interesse. È la strategia delle due esse: solidarietà per motivi etici e sicurezza nostra, perché se non facciamo arrivare i vaccini anche nei Paesi a basso reddito saremo sommersi dalle varianti”.

Al momento nella popolazione più grande che è stata studiata, ossia quella in Israele, dopo la prima dose del vaccino Pfizer i dati hanno mostrato una protezione del 60% contro la malattia. Tuttavia si è dimostrato pure una protezione del 90% dopo la seconda dose: appare evidente, dunque, che la seconda dose di vaccino è necessaria, per tutti.Il vaccino Oxford AstraZeneca era nato come singola dose poi è stato deciso di fare anche la seconda, ritardata fino a 12 settimane, quando ci si è resi conto che c’era un problema di durata della risposta immunitaria. Per quanto riguarda il vaccino Johnson & Johnson i dati indicano una protezione del 77% dopo una sola dose, inferiore in Sudamerica e Africa, dove è intorno al 50%. Quanto a Sputnik V i tassi sono apparentemente anche migliori ma i dati si riferiscono per ora a 27 giorni dopo la prima dose”. Purtroppo, però, i dati indicano anche che in alcune categorie di soggetti fragili il vaccino può funzionare di meno: bisogna vaccinare queste categorie, ma è pure necessario studiare approfonditamente come proteggerle al 100%. Disgraziatamente “Più il virus si replica e più genera varianti. Dobbiamo fermare la corsa del virus. Dobbiamo impedire che circoli, qui e altrove“.

E quindi a cosa è dovuta la riuscita riduzione delle infezioni nel Regno Unito? Mantovani dice che sicuramente ha contribuito la veloce vaccinazione, ma hanno giocato un ruolo importante anche le maggiori chiusure.

Sperimentazioni sul nuovo farmaco anti-Covid

Ultimamente, inoltre, l’attenzione si è spostata sui farmaci: molte analisi, infatti, hanno portato a galla che i cortisoni è attivo solo sui pazienti con insufficienza respiratoria, mentre in altre condizioni è estramamente nocivo. “Questo viene chiaramente detto dalle linee-guida Idsa (Infectious Disease Society of America), che sono molto rigorose e rappresentano un punto di riferimento. Il motivo è che si tratta di un farmaco che inibisce l’infiammazione ma anche la riposta immunitaria, la quale, nella maggior parte dei casi, in persone per altri versi sane, di solito riesce a contrastare l’infezione. Il trattamento con desametasone in fase precoce domiciliare in assenza di insufficienza respiratoria grave non è previsto in nessuna linea-guida che io conosca, e la Regione Emilia-Romagna ha diffidato il ricorso ad esso nelle prime fasi domiciliari. Al contrario, ad esempio ci sono dati interessanti per strategie che mirano a inibire molecole come le interleukine 6 e 8 e l’enzima Jak che giocano un ruolo importante nei gravi fenomeni infiammatori che si verificano in corso di Covid. Aspettiamo i risultati di sperimentazioni rigorose in proposito.  Il sogno che tutti abbiamo è di disporre di una pillola come quelle per il virus Hiv, che riesca a tenere sotto controllo l’infezione, e ci sono composti in fase 2 di sperimentazione che ci danno motivi di speranza in questo senso. Se le cose andranno bene, per la fine dell’anno forse potremo avere un armamentario di strumenti studiati in protocolli seri fra i quali scegliere in base sia al paziente sia alla fase dell’infezione“.