> > Attentato al Bataclan, 7 anni dopo parlano i sopravvissuti: "Non vogliamo ess...

Attentato al Bataclan, 7 anni dopo parlano i sopravvissuti: "Non vogliamo essere vittime per sempre"

Bataclan

Sono passati sette anni dal terribile attentato al Bataclan. I sopravvissuti alla strage hanno raccontato quello che è accaduto.

Dopo sette anni, il dolore per l’attentato al Bataclan, in cui sono morte 130 persone, è ancora forte. I sopravvissuti alla strage hanno cercato di andare avanti, di superare quanto accaduto, perché non vogliono sentirsi vittime per sempre. 

Attentato al Bataclan, 7 anni dopo parlano i sopravvissuti: “Non vogliamo essere vittime per sempre”

Lungo la Boulevard Voltaire a Parigi il tempo sembra non essersi fermato. Il Bataclan ha cercato di andare avanti e gli artisti continuano ad esibirsi all’interno del teatro. Nessuno, però, può dimenticare quello che è accaduto il 13 novembre 2015, quando 90 persone vennero uccise da un commando armato di tre terroristi legati all’Isis nella sala piena per il concerto degli Eagles of Death Metal. Quella sera ci furono diversi attentati di matrice islamica a Parigi. Tre esplosioni intorno allo Stade de France, dove era in corso un’amichevole tra i Bleues e la Germania, e sei sparatorie in diversi luoghi pubblici. Il bilancio totale fu di 130 morti e 368 feriti. I sopravvissuti a quella terribile strage hanno ripreso la loro vita normale, cercando di combattere con il dolore e la paura per quello che è accaduto. 

Attentato al Bataclan: il racconto di Natasha

Natasha è sopravvissuta all’attentato al Bataclan. La donna di 45 anni, francese di origini italiane, ha raccontato a L’Espresso quello che ha vissuto. Nel 2015 lavorava in una biblioteca e nel tempo libero amava molto la musica e i concerti. Il 13 novembre era andata al Bataclan con quello che all’epoca era il marito. Erano sulla balconata del primo piano quando hanno iniziato a sentire gli spari e si sono barricati in un camerino con trenta persone, dove hanno trascorso due ore e mezza prima dell’intervento della polizia. Le prime due settimane dopo l’attentato Natasha è rimasta chiusa in casa e dopo 20 giorni è tornata al lavoro ma “non ero più concentrata e perdevo sempre più peso“. A giugno 2014 il capo le ha concesso un mese di ferie, ma lei non è più tornata in biblioteca. Ha avuto un periodo di pausa di due anni, in cui è andata anche nel Regno Unito. “L’Inghilterra mi faceva sentire bene. Avevo bisogno di scappare da Parigi, dove ogni cosa mi riportava con la mente all’attentato” ha spiegat. Nel 2021 l’incontro con un fotografo l’ha spinta a parlare. Ora ha un altra vita, non va spesso ai concerti e se ci va cerca di essere vicina all’uscita di sicurezza. Si è ripresa grazie alla figlia di 4 anni e al nuovo lavoro come tatuatrice. Non è più stata al Bataclan, ci passa davanti solo il 13 novembre di ogni anno per la commemorazione. 

Attentato al Bataclan: la storia di Arthur

Arthur Dénouveaux è tornato al Bataclan. Il parigino di 36 anni lavora in una società mutualistica ed è presidente di “Life for Paris“, associazione delle vittime degli attentati del 13 novembre. Lui è riuscito a scappare poco dopo l’apertura del fuoco. “Dieci minuti che hanno stravolto tutto” ha dichiarato a L’Espresso. “Ho avvertito un cambiamento. Un momento prima sei considerato valido. Quello dopo si chiedono se si possa fare affidamento su di te” ha spiegato, parlando dello sguardo dei colleghi nei mesi successivi. Ad agosto 2016 ha lasciato il lavoro in banca e l’associazione gli ha cambiato la vita. “Si parla spesso del senso di colpevolezza dei sopravvissuti. In me si è formato invece il senso di responsabilità” ha spiegato, sottolineando di non essere un eroe. “Io sono una vittima come gli altri. Nel 2015 ero un qualsiasi 29enne nel pieno di una vita serena. Ero ottimista e spensierato. Quella spensieratezza l’attentato me l’ha tolta per sempre” ha precisato.

Attentato al Bataclan: la storia di David 

David Fritz Goeppinger, sopravvissuto, ha una grande voglia di chiudere. Il fotografo e scrittore di origine cilena, cresciuto nella capitale francese, nel 2015 aveva 23 anni e lavorava come barman. La sera del 13 novembre è rimasto bloccato al Bataclan per tre ore come ostaggio ed è stato costretto a collaborare con i terroristi. Dopo l’esperienza ha lasciato il lavoro e casa dei genitori e ha iniziato a vedere uno psicologo. Nel 2017 è tornato a fare il fotografo e nel 2019 ha pubblicato un libro. Il processo è stato il punto di svolta. “Dopo anni di testimonianze per la prima volta c’era la giustizia ad ascoltare dall’altra parte” ha spiegato. La sentenza del 29 giugno 2022 che ha condannato Salah Abdeslam all’ergastolo senza sconti di pena e ha riconosciuto colpevoli altre 18 persone è stata una liberazione, anche se si sente addosso il marchio della vittima. “È impossibile toglierselo ma io non mi considero più tale. Quello della vittima non è un’identità, è uno status” ha spiegato.