Doha Zaghi è vittima di un populismo moraleggiante che vorrebbe condannare le abitudini sessuali dei clienti di una candidata più della collusione mafiosa o della corruttibilità di una classe politica che negli anni ha mostrato il peggio di sé.
Siamo pieni di “illustri professionisti”, di “giganti buoni” di “vulcani di idee” che ammazzano le mogli, le ex mogli o le compagne, che hanno avuto la sfortuna di inciampare nella donna sbagliata.
I signori della guerra festeggiano della tensione internazionale. La situazione è complessa, ma ci vuole un bel coraggio a non vedere la distribuzione delle responsabilità.
Le scuole avrebbero bisogno di essere più sicure. Ma trasformare tutto in un raffreddore e in un lamento contro i lavoratori sfaccendati è molto più semplice.
Non vedere per non dovere affrontare è una tattica talmente cretina che il film “Don’t look up” l’ha trasformata in una grottesca parodia. Solo che la parodia è qui.
In Italia è quasi impossibile riuscire a farsi un tampone in tempi ragionevoli e se si trova l’occasione di un tampone spesso è a proprie spese perché il sistema di tracciamento delle Ats è completamente saltato.
Nei Paesi dove la stampa funziona tra giornalisti e politici vige un rapporto di cortese e professionale tensione tra controllato e controllore: qui siamo al tifo sfegatato.
La candidatura di Berlusconi al Quirinale è uno spartiacque fra chi intende la politica come esercizio di potere personale e chi come declinazione etica del bene comune.
Il lavoro di demolizione del diritto dello sciopero è solo l’ennesimo ingrediente di una pozione insidiosa che comprende la povertà dipinta come colpa, la disoccupazione intesa come fallimento, la scarsità dei salari come caratteristica della competitività e la pace sociale come resa di una delle parti.
Il SSN si nasconde dietro l’assenza di una legge e il Parlamento è immobile da tre anni, mentre il mondo fischietta indifferente sulla pelle di Mario e di quelli come lui.