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Beppe Grillo condannato per diffamazione. I giudici: “La critica non si basi su una menzogna”

Beppe grillo condannato diffamazione

Beppe Grillo è stato condannato per diffamazione verso l’ex parlamentare barese del Partito Democratico Cinzia Capano: la sentenza.

Il padre del Movimento 5 Stelle, Beppe Grillo, è stato condannato per diffamazione verso la parlamentare del Partito Democratico Cinzia Capano. Il fondatore dei 5S aveva accusato Capano di aver disertato l’Aula per boicottare il referendum sull’acqua ma, in realtà, la parlamentare dem era stata ricoverata d’urgenza in ospedale per un malore. I fatti risalgono a maggio 2021.

Beppe Grillo condannato per diffamazione. I giudici: “La critica non si basi su una menzogna”

“La critica non si basi su una menzogna”. È questo il motivo per il quale Beppe Grillo è stato condannato per diffamazione nei confronti dell’ex parlamentare barese del Pd Cinzia Capano.

“Il diritto di critica, anche quella politica, è un bene prezioso della democrazia. È uno dei pilastri sui quali si fonda lo Stato democratico. Se viene meno il diritto di critica, viene meno la democrazia. Esso, però, non può spingersi né può essere accolto oltre il concreto senso della ragionevolezza; non può insomma fondarsi sulla menzogna; non può confondersi con la menzogna denigratoria; non può costituire menzogna denigratoria finalizzata all’attacco personale lesivo della dignità della persona”, hanno sentenziato i giudici della terza sezione penale della Corte d’Appello di Bari che hanno condannato Grillo per diffamazione aggravata lo scorso 30 settembre 2022.

Le motivazioni della sentenza sono state depositate nei giorni scorsi. A quanto si apprende, la condanna è finalizzata solo al risarcimento danni che verrà quantificato dal giudice civile e arriva dopo l’assoluzione stabilita dal giudice monocratico in primo grado.

I fatti

Le dichiarazioni diffamatorie contro Capano sono state pronunciate il 9 giugno 2011 ad Anno Zero, programma in onda su Rai 2 durante il quale intervenne appunto Grillo. In questa circostanza, il fondatore del M5S si concentrò sull’assenza della parlamentare barese in aula nel giorno in cui si sarebbe dovuto votare la proposta di inglobare nell’Election day il referendum sull’acqua pubblica a quello amministrativo del maggio 2011. Scagliandosi contro Capano e altri parlamentari dem assenti, Grillo accusò la donna di aver disertato l’Aula “attraverso una palese menzogna e un attacco immotivato alla persona”, ha scritto la Corte.

Come chiarito con prontezza dal Pd tramite la diffusione di apposito comunicato, in occasione del voto del 16 marzo 2011, Capano era stata ricoverata d’urgenza in ospedale a causa di un malore.

“Nonostante ciò, Grillo confezionò il suo intervento televisivo sottacendo quel comunicato, così denigrando, attraverso una palese menzogna e un attacco immotivato alla persona, la Capano”, si legge nella sentenza.

“È vero che viviamo in un’epoca di post-verità, così come è stata più volte definita da eminenti filosofi e sociologi. È l’opinione che si sostituisce alla verità”, hanno segnalato i giudici. “Ciò che conta è ciò che penso, non ciò che è, ma la Giustizia si fonda sulla verità, non sulla menzogna e costituisce il primo e più importante baluardo a protezione della civile convivenza”.