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Bimbo sciolto nell'acido, 2,2 mln alla famiglia Di Matteo

Giuseppe Di Matteo

Era il 1996 quando Giuseppe Di Matteo veniva sciolto nell'acido. Il giudice ha stabilito che la famiglia ha diritto a un risarcimento di 2,2 milioni.

Era il pomeriggio del 23 novembre 1993 quando Giuseppe Di Matteo, che allora aveva 12 anni, fu rapito dagli uomini di Giovanni Brusca, boss di Cosa Nostra di San Giuseppe Jato. La colpa del ragazzo era quella di essere figlio di Santino Di Matteo, mafioso pentito diventato collaboratore di giustizia. Giuseppe Di Matteo rimase prigioniero di Graviano per 26 mesi, a seguito dei quali fu sciolto nell’acido. 22 anni dopo il tragico epilogo, il giudice Paolo Criscuoli ha stabilito che vengano risarciti 2,2 milioni di euro alla madre Franca Castellese e al fratello Nicola Di Matteo.

Giuseppe di Matteo: il rapimento, la prigionia e la morte

Il rapimento avvenne in un maneggio di Piana degli Albanesi, in provincia di Palermo: Giuseppe di Matteo fu ingannato dagli uomini di Giovanni Brusca, che, travestiti da poliziotti, dissero al ragazzo che lo avrebbero condotto dal padre, che da poco aveva iniziato a collaborare con la giustizia ed era stato messo sotto protezione, lontano dalla Sicilia. La scomparsa di Giuseppe fu denunciata dalla madre, Franca Castellese, soltanto una ventina di giorni dopo il rapimento, quando già era arrivata la prima minaccia scritta. Il primo dicembre 1993 infatti, arrivò alla famiglia una foto di Giuseppe con in mano un quotidiano del 23 novembre allegata a un biglietto che recitava: “tappaci la bocca”.

Fu chiaro quindi che il rapimento di Giuseppe rappresentava il disperato tentativo del boss Giovanni Brusca di far tacere Santino, che stava rivelando importanti informazioni sul suo conto, sulla strage di Capaci e sull’assassinio di Ignazio Salvo. Santino Di Matteo decise di non piegarsi alle minacce di Cosa Nostra e di continuare a testimoniare.

La prigionia di Giuseppe Di Matteo si protrasse per 779 giorni, durante i quali fu spostato varia volte, prima di essere rinchiuso, verso al fine del 1995, in una botola sotto al pavimento di un casolare di campagna di San Giuseppe Jato. Quando, in data 11 gennaio 1996, Giovanni Brusca apprese di essere stato condannato all’ergastolo per l’omicidio dell’esattore Ignazio Salvo, scaricò la rabbia verso Santino Di Matteo sul figlio: ordinò infatti che Giuseppe fosse ucciso. Il ragazzo, di soli 14 anni, fu strangolato e sciolto nell’acido il giorno stesso.

I processi, le condanne

Le prime condanne per i responsabili dell’omicidio di Giuseppe Di Matteo sono arrivate il 16 gennaio 2012, al quarto processo sulla morte del bambino. In tale data sono stati condannati all’ergastolo Giuseppe Graviano, boss mandante del rapimento e dell’omicidio insieme a Giovanni Brusca, il latitante Matteo Messina Denaro e i tre esecutori del rapimento e dell’omicidio: Luigi Giacalone, Francesco Giuliano e Salvatore Benigno. Le condanne sono state confermate anche in appello grazie alla testimonianza del pentito Gaspare Spatuzza.

Il risarcimento

A luglio 2018, 22 anni dopo la morte di Giuseppe di Matteo, il giudice di Palermo Paolo Criscuoli ha condannato anche in sede civile i responsabili dell’uccisione e del rapimento del ragazzo. La condanna prevede che i cinque imputati risarciscano la madre e il fratello di Giuseppe (non il padre) di 2,2 milioni di euro. A questi devono essere sottratti i 400 mila euro che già nel 2015, quando il procedimento civile era da poco iniziato, erano stati destinati a Franca Castellese e a Nicola Di Matteo. Dal momento che i beni dei condannati sono sotto sequestro, i soldi verranno attinti dal fondo speciale dello Stato per le vittime di mafia.

Il giudice Criscuoli ha motivato la decisione scrivendo che: “è stata lesa la dignità della persona, il diritto del minore a un ambiente sano, a una famiglia, a uno sviluppo armonioso, in linea con le inclinazioni personali, ad un’istruzione. Beni ed interessi di primario rilievo costituzionale che, pertanto, trovano diretta tutela, anche risarcitoria” e aggiunge: “Le condizioni del rapimento hanno di fatto del tutto soppresso i diritti del minore; massimo quindi il grado di lesione. Ancora prima dell’omicidio il Di Matteo, tredicenne, è stato privato della libertà personale per oltre due anni. Tale circostanza, in relazione alle inumane e degradanti condizioni di prigionia, tanto più in considerazione dell’età del soggetto rapito, rendono di primario rilievo il pregiudizio patito dal Di Matteo“.