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Boss su Totò Riina: 'Giusto sciogliere bimbo nell'acido'

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Un'intercettazione telefonica inchioda un boss sulla terribile uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo

Lo scorso dicembre, un’operazione anti mafia, coordinata dalla dda di Palermo, ha colpito duramente il clan di Matteo Messina Denaro. Ben 22 persone sono finite in cella in seguito alle indagini. Tra il materiale analizzato nel corso dell’inchiesta, spunta fuori una tremenda conversazione telefonica in cui un boss fa tremende dichiarazioni sulla terribile morte del figlio del pentito Santino Di Matteo, il piccolo Giuseppe, all’epoca (era il 1996) 13enne. Viene detto che Totò Riina fece bene a sciogliere il poveretto nell’acido.

‘Totò Riina fece bene’

Le frasi della conversazione telefonica sono inumane. Uno dei boss mafiosi fermati dalla dda di Palermo è stato intercettato telefonicamente in una conversazione che risale allo scorso 19 novembre 2017. Il mafioso afferma, senza mostrare nessuna pietà, che Totò Riina fece molto bene a bruciare nell’acido il piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio del mafioso pentito Santino. L’interlocutore risponde che il padre se l’è cercata. D’altronde, ci si chiede “perché ha cantato”. Il boss mafioso non si ferma qua. Si può andare anche più in fondo. Secondo lui, infatti, il capomafia Totò Riina ha fatto quello che doveva, dal momento che Santino Di Matteo, pentendosi, ha rovinato mezza Palermo.
L’interlocutore afferma che è giusto che non si tocchino i bambini. Ma in questo caso, secondo lui, ci sarebbe un enorme ‘ma’. Pentendosi, Santino Di Matteo ha dimostrato di non tenere alla vita di suo figlio. Quindi se l’è meritato. Il boss mafioso intercettato approva appieno queste parole. Conclude la conversazione affermando di essere protetto e che una persona si può, ‘purtroppo’, uccidere solo una volta, ma la si può far soffrire molte volte. Queste persone, al posto del cuore, non hanno nulla.

Matteo Messina Denaro

Il 14 dicembre ha avuto luogo un importante blitz per colpire i collaboratoti di Matteo Messina Denaro, boss latitante dal 1993. Le perquisizioni, effettuate ad ampio raggio, sono nei primi istanti dell’alba. Circa duecento agenti delle squadre mobili di Palermo e Trapani, assieme ai colleghi del Servizio centrale operativo di Roma, stanno ancora adesso svolgendo decine di controlli nell’area di Castelvetrano, in provincia di Trapani. Il paese è quello originario del boss latitante Matteo Messina Denaro. L’operazione è coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo. Il procuratore capo Francesco Lo Voi e l’aggiunto Paolo Guido hanno firmato i provvedimenti, che ipotizzano il reato di “procurata inosservanza di pena” nei confronti di una trentina di persone. Queste avrebbero collaborato, e/o lo fanno tutt’ora, con il capo mafia. In verità non ci sono novità eclatanti su queste trenta persone. Si tratta, infatti, di persone già citate nelle intercettazioni e dai collaboratori di giustizia.

Messina Denaro è latitante dall’estate del 1993, dopo gli attentati malavitosi a Roma, Firenze e Milano. È figlio del vecchio boss di Castelvetrano Francesco Messina Denaro, personalità vicina ai corleonesi di Totò Riina. Si tratta dell’ultimo padrino di Cosa nostra ricercato. Negli ultimi anni gli inquirenti gli hanno fatto terra bruciata attorno al boss latitante, mettendo in manette familiari e decine di fiancheggiatori. Probabilmente se ne aggiungeranno altre trenta.