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I BTP valore fanno il pieno, ma i conti correnti si svuotano

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Da dicembre 2021 a marzo 2023, il saldo dei conti correnti è calato di oltre 61 miliardi di euro, da 2.076 miliardi a 2.015 miliardi.

Il successo straordinario del BTP Valore, il nuovo titolo di Stato riservato ai risparmiatori e ai piccoli investitori individuali, ha colto di sorpresa non solo il Governo, che ha incassato nei 4 giorni di collocamento (oggi era l’ultimo) oltre 17 miliardi di euro, ma anche gli economisti e gli analisti finanziari. Mai prima d’ora un’emissione di titoli di Stato riservata al mercato retail aveva registrato tanta partecipazione: il BTP Valore ha superato di circa 3 miliardi il sedicesimo Btp Italia, il titolo di Stato indicizzato all’inflazione. Sul piano tecnico, i tassi definitivi non potranno essere inferiori al 3,25% per i primi due anni ed al 4% per il secondo biennio. Non solo. Per chi conserva il titolo fino alla scadenza dei quattro anni, è previsto un ricco “premio fedeltà”: quando vuole, il governo sa essere molto generoso.

Che dire? Dopo l’era dei BOT People degli anni 80, gli italiani tornano a fare incetta di debito pubblico? Attenzione: comprare titoli di Stato “privilegiati” riservati ai risparmiatori, quindi non agli speculatori seriali, può essere una scelta intelligente e “patriottica”, ma sui mercati non esiste pasto gratis. Quando lo Stato chiede denaro ai risparmitori per finanziare il debito pubblico, chi paga il conto è il sistema bancario: i soldi che servono per comprare i BTP escono infatti dai conti correnti, privando quind il sistema bancario di depositi che vengono tradizionalmente utilizzati per finanziare gli impieghi, prestiti alle imprese e mutui alle famiglie. I dati parlano chiaro: tra inflazione galoppante, tassi di remunerazione dei depositi prossimi allo zero ed emissioni di Titoli di Stato a tasso indicizzato al costo della vita (BTP Italia) riservati alle famiglie, il livello dei depositi presso le banche italiane è in caduta libera.

Da dicembre 2021 a marzo 2023, il saldo dei conti correnti è calato di oltre 61 miliardi di euro, da 2.076 miliardi a 2.015 miliardi. In soli tre mesi, da dicembre 2022 a marzo 2023, la variazione negativa è stata pari a oltre 50 miliardi. E’ quanto emerge da una ricerca della Federazione autonoma bancari italiani. Il carovita non solo ha invertito la tendenza al risparmio delle famiglie, pressoché prossima allo zero nei primi 5 mesi (in media 0,2%), ma ha cominciato a erodere le riserve accumulate dal sistema produttivo. Su questo trend, pesa ovviamente anche la remunerazione ridicola del denaro depositato in banca.

Secondo i dati della Fabi, infatti, la “forbice dei tassi” bancari tra il 2021 e l’inizio del 2023 ha mostrato un aumento in punti base decisamente sproporzionato tra interessi attivi e passivi. Considerando i mutui delle famiglie, lo spread è stato pari a 296 punti, risultato del passaggio della media degli interessi dall’1,4% al 4,36%, mentre il differenziale sui prestiti alle imprese ha incassato addirittura 302 punti, dall’1,31% al 4,33%. Quanto invece ai conti correnti, lo spread è stato di appena 24 punti per le famiglie (da 0,02% a 0,26%), mentre è salito con maggior vigore il tasso riconosciuto sui depositi a tempo, da 0,99% a 2,12% con uno spread di 113 punti e quello sui pronti contro termine, aumentato dallo 0,59% al 2,25% con uno spread di 166 punti.

Chiaro che dicono i numeri? Le banche remunerano il denaro depositato dai clienti con un tasso di poco più dello 0,2%, ma per concedergli un prestito fanno pagare loro un interesse del 500% più elevato… Ed ecco spiegato perché, chi può, toglie depositi alle banche e compra BTP costruiti su misura per i piccoli risparmiatori: anche se gli interessi non arrivano a coprire interamente il capitale investito dall’erosione dell’inflazione, quanto meno riducono il danno.

Per le banche italiane, insomma, la “concorrenza” dello Stato sulla raccolta del risparmio sembra persino più pericolosa di quella delle banche straniere e dei nuovi intermediari digitali. Ma nessun pasto è gratis… comprando BTP “a tasso crescente” riservati alle famiglie, si finanzia il debito italiano, ma si spinge verso l’alto il costo del servizio sul debito, si aumenta l’esposizione complessiva dello stato e si alimenta in ultima analisi la “fame” di denaro a debito del governo. Malgrado l’impegno sui tagli di spesa, il debito pubblico italiano è balzato nel febbraio scorso a oltre 2.780 miliardi di euro, un nuovo record negativo che pesa non solo sui contribuenti, ma anche sulla fiducia dell’Europa e dei mercati finanziari. Non solo. Che succederà quando la BCE alzerà nuovamente i tassi, come del resto ha già comunicato di voler fare?

Quello che accadrà, è che il governo dovrà sicuramente affrontare presto un sostanziale aumento del costo del servizio sul debito pubblico, che salirà (come ha calcolato anche Fitch) al 4% del PIL nel 2024 e al 4,4% del PIL nel 2026, dal 3,4% pre-pandemia.

Questo aumento è dovuto principalmente all’impatto dei tassi di interesse più elevati sul rifinanziamento del debito in scadenza, ma anche alla quota considerevole del debito a tasso variabile, balzato in poco tempo all’11% del totale. Particolarmente pericolosa è soprattutto la dinamica dei rendimenti delle obbligazioni indicizzate all’inflazione, che rappresentano ora il 13% del debito totale: più sale l’inflazione (o resta alta), più il costo del loro servizio aumenta.