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Casa Giacometti a Roma, edificio garibaldino e della II Guerra Mondiale abbandonato

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Il Risorgimento e il rischio dell'oblio  Casa Giacometti, presso Porta San Pancrazio a Roma, sulla sommità del Gianicolo, in passato fu teatro di importanti vicende storiche italiane. Nel giugno del 1849, il periodo era quello del Risorgimento (I Guerra d’Indipendenza), diventò avamposto s...

Il Risorgimento e il rischio dell’oblio

Casa Giacometti, presso Porta San Pancrazio a Roma, sulla sommità del Gianicolo, in passato fu teatro di importanti vicende storiche italiane. Nel giugno del 1849, il periodo era quello del Risorgimento (I Guerra d’Indipendenza), diventò avamposto strategico dei Garibaldini – fu scelta dal Generale Giuseppe Garibaldi in persona per la difesa della città -. Dalle sue finestre, le “giubbe rosse” sparavano contro l’esercito francese del Generale Nicolas Charles Victor Oudinot – la cui base era il Casino dei Quattro Venti, in Villa Pamphili –, il quale era stato inviato dal futuro Imperatore Napoleone III a sostegno di Papa Pio IX, per annientare la Repubblica Romana con a capo Giuseppe Mazzini. Tuttavia, sebbene Casa Giacometti “preoccupasse” i francesi – al punto che nella notte fra il 20 e il 21 luglio del 1849 essi tentarono un’incursione che però fu respinta –, non rappresentava un rifugio sicuro: molti garibaldini vi morirono perché raggiunti dalle pallottole nemiche. Un giovane bersagliere italiano paragonò ciò che era avvenuto durante l’incursione francese sul posto ad una sorta di “girone dantesco” e i racconti che l’Eroe dei Due Mondi fece per lettera ad Anita, non erano meno preoccupanti. Per tale ragione i suoi uomini si decisero lasciare l’edificio, che in seguito rischiò l’oblio ed anche di essere demolito nel 1931 per fare spazio ai lavori di ampliamento della vicina Villa San Pancrazio, se non fosse stato per le proteste dell’associazione Sodalizio garibaldino.

La Seconda Guerra Mondiale e il parziale abbandono

Durante l’occupazione nazista, si recavano molto spesso a Casa Giacometti il controverso colonnello delle SS Eugen Dollmann, traduttore personale di Hitler – avrebbe continuato a tradurre anche dopo la guerra, facendo conoscere ai tedeschi pure “La Dolce Vita” di Fellini –, e la collaborazionista ebrea Celeste Di Porto, soprannominata la “Pantera nera”. Nell’edificio infatti era situata dal 1816 l’osteria Lo Scarpone, un’osteria in specialità romanesche a cui andavano volentieri tra gli altri Mussolini e Claretta Petacci. Ma nelle gallerie di cui erano costituiti i sotterranei, i proprietari dell’osteria, gli Adducci, nascondevano alcune famiglie ebree, passando loro il cibo da un aeratore che si vede ancora oggi nel giardino. E fu forse per gratitudine che le persone da loro salvate, disegnarono tanti cuoricini rossi in un stanza che avevano a disposizione, detta perciò “sala dei cuori”. Dopo la guerra, vissero lì i fattori della famiglia Adducci, ma dagli Anni Cinquanta gran parte della casa è rimasta abbandonata: in alcuni locali si trovano soltanto mobili rotti, polvere e vecchi scarponi, che probabilmente erano appartenuti ai soldati tedeschi; una parte è stata invece ristrutturata per far posto ad un ristorante chiamato come la vecchia osteria e gestito da Antonello Soccorsi, cugino di Giovanni Adducci, discendente diretto della già menzionata famiglia. Egli è un ingegnere aeronautico ma anche un appassionato di storia, così ha ricostruito in un libro edito da Palombi intitolato “Un garibaldino a Casa Giacometti (Roma, 1849 – 1943)”, le storiche vicende avvenute nell’edificio.

Luogo di sedute spiritiche

Si venne a sapere che gli Adducci avevano un’eccentrica passione: quella per le sedute spiritiche, per le quali convocavano anche una medium. Nella casa si sarebbero dunque verificati fenomeni paranormali, che avrebbero dissuaso chiunque dall’andare a viverci. Nel marzo 2016 vi si recarono piuttosto i Ghost Hunters Roma (GHR), cacciatori di fantasmi – parapsicologi romani, per effettuare un’indagine. In quel periodo Donna Costanza Ravizza Garibaldi, discendente di Giuseppe, dopo aver ricevuto in dono da Giovanni Adducci il suo già citato libro sulla casa, aveva chiesto al Comune di Roma di mettere almeno una targa per ricordare i fatti storici lì avvenuti.

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