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Il castello di Pizzo Calabro (Vibo Valentia) e il fantasma di Gioacchino Murat

Castello

Il Castello di Pizzo Calabro, antica prigione famosa soprattutto perché vi fu rinchiuso e giustiziato Gioacchino Murat, il cui fantasma dimorerebbe ancora qui in cerca di vendetta.

La storia

Posizione strategica

Il Castello di Pizzo Calabro, in provincia di Vibo Valentia, è detto Castello Aragonese perché risale a tale dominazione nel XV secolo. E’ un castello a pianta circolare, che venne fatto costruire nel 1492 – proprio il fatidico anno della scoperta dell’America – da re Ferdinando d’Aragona e di Spagna, marito di Isabella di Castiglia, come difesa contro la congiura ordita ai suoi danni dai baroni locali con a capo il feudatario Carlo Sanseverino, conte di Mileto, ma la torre era già stata eretta un secolo prima dagli Angioini. Nel XVI secolo il castello, dotato di fossato e di ponte levatoio, servì come fortezza difensiva contro le incursioni turche. A picco sul mare, offre sia uno scenario suggestivo, sia nei secoli passati la possibilità di avvistare i nemici e di contrattaccare immediatamente. Negli anni ha subito numerosi restauri, grazie ai quali oggi è ben conservato.

Il Castello di Pizzo Calabro è noto per essere stato una prigione che ospitò illustri personaggi, come il filosofo Tommaso Campanella, l’alchimista Giuseppe Balsamo più noto come Cagliostro, il filosofo Pasquale Galluppi, vissuto tra Settecento e Ottocento, e Ricciotti Garibaldi, figlio di Giuseppe e di Anita.

Soprattutto questo luogo è noto per essere stato la prigione in cui venne giustiziato Gioacchino Murat, ex maresciallo dell’Impero napoleonico e cognato di Napoleone, il quale a suo tempo l’aveva posto sul trono di Napoli.

L'ex re

Sostituito dagli Austriaci con Ferdinando I di Borbone delle Due Sicilie, Murat voleva riprendersi il regno e convinto anche che la popolazione fosse scontenta con il nuovo sovrano, volle tornare a Napoli per fare una rivoluzione; senonchè Ferdinando I lo fece imprigionare. Egli, pur volendo arrivare in nave inizialmente a Salerno, fu spinto in Calabria da una tempesta e, tradito dal capo del battaglione, venne arrestato dalla Gendarmeria borbonica. In seguito venne fucilato il 13 ottobre 1815 – il 18 giugno dello stesso anno, Napoleone aveva subito la sconfitta a Waterloo, dopodichè sarebbe partito per l’esilio sull’Isola di Sant’Elena -. Sembra che le ultime parole di Gioacchino Murat, pronunciate con fierezza e in francese davanti al plotone d’esecuzione, siano state: “Risparmiate il mio volto, mirate al cuore, fuoco!”, e i soldati si sarebbero commossi prima di giustiziarlo. Non si sa dove l’ex uomo di fiducia di Napoleone abbia trovato sepoltura; si parla anche dei gioielli che gli sarebbero stati sottratti al momento della cattura e finiti chissà dove, nonchè di un misterioso bottino di guerra che sarebbe rimasto sulla nave, ormeggiata sul mare di Pozzo e dove Murat non fece più ritorno. Di tali vicende, al castello vi sono numerose rievocazioni storiche.

Il fantasma

Il fantasma di notte

Oltre alle leggende di cui abbiamo parlato, c’è ne una più famosa, secondo la quale nel Castello di Pizzo Calabro dimorerebbe ancora il fantasma di Gioacchino Murat. Gli abitanti del paese raccontano di agghiaccianti rumori di catene che si udirebbero durante la notte nella Chiesa di San Giorgio, fatta costruire dallo stesso ex re di Napoli e nella cui navata centrale sarebbe stato sepolto – altre ipotesi parlano di una fossa comune nel cimitero del paese o in mare, mentre la testa dell’ex ufficiale napoleonico sarebbe stata portata come omaggio a Ferdinando I di Borbone, che in cambio avrebbe ricompensato i sudditi di Pizzo e coloro che uccisero Murat –.

Altre leggende sul fantasma e sulla Chiesa di San Giorgio affermano che una volta essa si sarebbe illuminata improvvisamente e si sarebbe udita una voce spettrale provenire dalla navata, una voce spettrale di cui tuttavia non vennero comprese le parole; inoltre, sempre nella stessa chiesa, una donna disse di aver visto il fantasma di Murat vestito con un regale ermellino. Infine per molti anni, nello stesso giorno e nella stessa ora in cui l’ex sovrano e i suoi uomini furono dirottati a Pizzo Calabro dalla tempesta, vi sarebbero stati inspiegabilmente lampi e tuoni: la gente chiama tuttora questo fenomeno la “tempesta i Gioacchinu”, la tempesta di Gioacchino, che sarebbe in continua ricerca di vendetta.