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Imprenditore condannato: ha invitato la dipendente ad assistere a chat porno

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Chat porno per una dipendente. Un imprenditore invita la sua impiegata ad assistere ad alcune chat porno. E' accusato di stalking e violenza sessuale.

Chat porno per una dipendente. Ad Ancona un imprenditore invita la sua dipendente ad assistere ad alcune chat porno. Non contento, da anni aveva l’abitudine di mandare sms alla dipendente dicendole di indossare abiti sexy per venire in ufficio. Il proprietario di una piccola azienda dell’Anconetano è stato accusato di stalking e violenza sessuale ai danni di una sua impiegata. L’uomo continua a negare l’accaduto, anche se ormai è stato condannato.

La vicenda

Chat porno per la dipendente dell’imprenditore di una piccola azienda nei pressi di Ancona. Ha molestato la sua impiegata per alcuni anni. La vicenda si snoda tra il 2013 e il 2016. La sua dipendente all’epoca aveva 32 anni, ed è stata molestata attraverso diverse modalità. Il titolare infatti la invitava, attraverso l’invio di sms, a venire al lavoro con abiti sexy e succinti. La cosa peggiore però si manifestava durante le ore di lavoro. La donna veniva obbligata ad assistere ad alcune chat porno che ritraevano l’imprenditore mentre si toccava i genitali. La dipendente doveva guardare, con attenzione, mentre l’uomo faceva i suoi comodi. In sua difesa nega tutto. Ma il Gup Paola Moscaroli l’ha condannato ad una pena di un anno e otto mesi. La pena è sospesa con rito abbreviato. La ex dipendente ha chiesto un risarcimento che vanta la cifra di mezzo milione di euro per i danni psicologici subiti. Il giudice per il momento ha concesso 10 mila euro come provvisionale.

L’uomo nega

La donna che ha subito le molestie non ha denunciato prima il fatto perchè aveva paura di perdere il lavoro. Purtroppo quando si ha bisogno di soldi per vivere l’uomo è capace di subire delle atrocità. La ex dipendente infatti era costretta ad osservare le partiche autoerotiche del suo titololare attraverso una live chat durante gli orari di lavoro. L’uomo, nonostante la condanna, nega tutto. E a suo favore dice che in ufficio era sempre presente la moglie che non avrebbe di certo permesso che accadessero certe cose. Ma l’impiegata, al contrario, sosteneva che l’uomo aspettasse proprio i momenti dove la moglie era assente per scatenare la sua perversione.

Arginare il problema

Non è purtroppo una novità quella delle molestie sul lavoro. Il comportamenti che vengono inclusi nella definizione di molestie sono, secondo l’articolo 26, Dlgs n. 198 del 2006, tutti i comportamenti indesiderati che hanno connotazioni sessuali, espressi sia in forma fisica che verbale. Tutti quegli atteggiamenti con lo scopo di offendere e violare la dignità del dipendente. E’ definita come molestia anche il creare un clima intimidatorio, ostile, degradante e umiliante nei confronti di tutti i dipendenti.

Cosa occorre

Nel caso in cui fosse avvenuto un caso di molestie il giudice non può condannare l’imputato se non ci sono prove tangibili e verificabili. Le dichiarazione della parte offesa infatti non bastano. L’articolo 40 del d.lgs. 198/2006 dichiara espressamente che la parte lesa deve fornire elementi tangibili e di fatto. Se il molestato segnalerà alcuni di questi elementi si potrà poi procedere alla verifica dei tali e all’autenticazione della molestia. Altri elementi che si possono tenere in considerazione sono certificati medici e psichiatrici che attestino lo stato della persona alterato. Non si escludono la raccolta delle testimonianze da parte di familiari e amici ai quali sono state raccontate le varie vicende disturbanti. Non è però così semplice riuscire ad attestare le molestie subite, infatti queste non vengono quasi mai consumate in pubblico, ma il datore di lavoro aspetta sempre di trovarsi in una situazione dove lui e la vittima sono da soli.