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Chi paga e chi brinda alla guerra dei dazi

Vladimir Putin

Se sul fronte orientale si combatte in trincea, su quello occidentale si è scatenato il far west. Il vero problema è la credibilità delle sanzioni contro Putin: roba da far ridere i cinesi.

Le guerre commerciali fanno sempre notizia. Solo quelle contro la Russia non convincono più nessuno: anzi, più Usa ed Europa minacciano e puniscono Mosca, meno gli investitori di Wall Street credono che i dazi spaventino Putin. Semmai il contrario: in Borsa si va “corti” sui negoziati di pace e “lunghi” sui danni collaterali della crisi. Il folle rally del Nickel (+170%in 2 sedute) si commenta da sé: per fermare l’esuberanza irrazionale sul prezzo del metallo, che con l’assedio di Kiev ha ben poco a che fare, la borsa merci di Londra è stata costretta a chiudere gli scambi almeno fino a venerdì prossimo. Se sul fronte orientale si combatte in trincea, su quello occidentale si è scatenato il far west.

Ma il vero problema è la credibilità delle sanzioni contro Putin: roba da far ridere i cinesi. Basti pensare al gas e al petrolio, le vere ricchezze naturali da cui dipende la Russia: dopo settimane di minacce di embargo, Usa e Ue le hanno escluse dai dazi. È inutile dire che dalle sanzioni è stata esclusa anche la GazpromBank, la banca “d’affari” del colosso energetico Gazprom: le azioni del gruppo russo sono crollate in borsa, ma i finanziamenti dei contratti sono saliti a nove cifre. Altro che punizioni esemplari.

E che dire dell’esclusione di sette banche russe dallo SWIFT, la rete che gestisce le transazioni internazionali del credito: sembrava un’arma letale, rischia di diventare il più grosso favore ai russi e soprattutto ai cinesi.

Perché nel nuovo disordine globale, lo SWIFT ha due ”nuovi” concorrenti: l’SPFS, il sistema interbancario sviluppato dalla RUSSIA su ordine di Putin, e soprattutto il Cips, la nuova “Rete commerciale interbancaria” della Cina, un network di pagamenti creato da Pechino per le banche della Repubblica Popolare.

Nessuno dei due è ancora in grado di competere da solo contro il sistema dello SWIFT, ma le due reti mese insieme cambiano le regole del gioco: oltre a unificare le reti bancarie russe e cinesi, l’adesione al sistema è stata garantita ai Paesi in via di sviluppo come Turchia e Iran, oltre all’India e ai Paesi dell’EAEU, L’Unione economica eurasiatica che comprende Armenia, Bielorussia, Kazakistan e Kirghizistan. L’EAEU ha anche patti di libero scambio con Serbia, Singapore e Vietnam e molti altri accordi in sospeso. Alla fine del 2020, 23 banche estere risultavano collegate all’SPFS da Armenia, Bielorussia, Germania, Kazakistan, Kirghizistan e Svizzera: con la Cina, il peso raddoppia.

Del resto, Putin e il presidente cinese Xi ne avevano discusso pubblicamente nell’ultimo incontro: dopo aver venduto a Shanghai la Borsa di Kiev, Mosca si affida a Pechino anche per le banche. Con buona pace dell’Ucraina, e delle imprese che comprano gas e pagano solo dazi.