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Come riconoscere gli alimenti contraffatti?

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Il cibo italiano “suona” bene, soprattutto all’estero. Dopo le griffe di alta moda ora sono i prodotti alimentari ad essere vittime del tarocco. Basta un richiamo al tricolore e l’italian sounding è servito. Nomi, foto ed etichette fanno pensare alle nostre produzioni agroalimentari, ma qua...

Il cibo italiano “suona” bene, soprattutto all’estero. Dopo le griffe di alta moda ora sono i prodotti alimentari ad essere vittime del tarocco. Basta un richiamo al tricolore e l’italian sounding è servito. Nomi, foto ed etichette fanno pensare alle nostre produzioni agroalimentari, ma quasi nulla, invece, è veramente italiano. Il problema è che possono esserci sorprese anche nel nostro frigo. Gli esperti lo chiamano “italian sounding”, un fenomeno che consiste nell’uso del richiamo all’italianità nelle etichette di prodotti fabbricati all’estero.

Per aumentare le vendite si sfrutta l’immagine della cultura gastronomica italiana, sinonimo di buona alimentazione e saper vivere. Il valore del fatturato dell’italian sounding e della contraffazione tocca i 60 miliardi di euro all’anno. Il carrello del gusto italiano contraffatto comprende tantissimi prodotti: sughi al pomodoro, formaggi, olio, pasta, pizza, vini e persino dolci come la colomba pasquale o il panettone. Solo nel Nord America il 98% dei formaggi venduti come italiani è invece un falso (dati rilevati da Coldiretti).

La normativa comunitaria impone regole severe sugli alimenti. In Italia, inoltre, il sistema di controllo sulla sicurezza è rigoroso, ma non c’è ancora l’etichetta di origine per le carni diverse dai bovini, per i salumi, i succhi di frutta, la pasta e i formaggi. La preoccupazione per un Paese come il nostro è che nei cibi in vendita siano usati ingredienti di diversa origine e qualità. Sono molti, infatti, i prodotti alimentari con passaporto italiano, ma sangue straniero. Golosità made in Italy prodotte con materie prime che arrivano da lontano, nessuna truffa o falsificazione.

Tutto è legale e noto da tempo: basta che l’ultima parte della lavorazione sia fatta a casa nostra. Per esempio, la pasta è in larga parte prodotta con grano duro di provenienza straniera, soprattutto americana o ucraina. Molti dei prosciutti in vaschetta sono di maiali allevati in Europa. Lo stesso vale per la mozzarella e altri formaggi, prodotti con latte e cagli europei. Anche la bresaola può essere preparata con carni brasiliane.

Qual è la migliore strategia per difendere il vero “made in Italy” e i consumatori? E’ fondamentale che per tutti gli alimenti sia indicata l’origine in etichetta anche della materia prima. Dal 2005, per esempio, è scattato l’obbligo di indicare la zona di mungitura o la stalla di provenienza per il latte fresco. Allo stesso anno, anche sotto la spinta dell’influenza aviaria, risale l’etichetta per il pollo italiano. Dal 2008, inoltre, esiste l’obbligo di etichettatura di origine per la passata di pomodoro che, per legge, va fatta solo con pomodoro fresco.

Come fare per essere certi di comprare solo 100% made in Italy? Una soluzione è quella di orientarsi su prodotti tutelati da marchi come le denominazioni o le indicazioni di origine protetta che devono obbligatoriamente seguire un preciso disciplinare di produzione anche per quanto riguarda le materie prime. Una soluzione potrebbe essere quella di accorciare la filiera e rivolgersi direttamente alle aziende agricole e ai produttori. Oltre a una tracciabilità immediata, c’è anche il vantaggio di un notevole risparmio sul prezzo di acquisto.