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Cop 21, quali sono i veri obiettivi della Conferenza Mondiale sul Clima

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È iniziata da qualche giorno a Parigi la Conferenza Mondiale sul Clima, la cosiddetta Cop 21, e dopo l’iniziale fiammata di riflettori, i lavori stanno proseguendo con analisi di sapore semi tecnico che i media amano poco. Del resto, è vero che ciò che importa saranno le conclusioni della Cop ...

È iniziata da qualche giorno a Parigi la Conferenza Mondiale sul Clima, la cosiddetta Cop 21, e dopo l’iniziale fiammata di riflettori, i lavori stanno proseguendo con analisi di sapore semi tecnico che i media amano poco.

Del resto, è vero che ciò che importa saranno le conclusioni della Cop 21, di certo non i roboanti proclami, perché di questi, detto chiaro, il clima se ne infischia. La situazione si può riassumere in modo semplice: se la temperatura media del pianeta si alza, i ghiacciai si sciolgono trasformandosi in acqua, l’acqua finisce negli oceani, il livello del mare si alza, si modificano salinità, correnti e chissà cos’altro. Nel frattempo, le aree con clima mite, ovvero adatto all’agricoltura, si riducono e, nel contempo, aumentano quelle inospitali, mentre quelle che già oggi sono inospitali diventano inabitabili. Alcune specie animali finiscono per essere a rischio estinzione e, fra queste, secondo alcuni occorre annoverare pure quella dell’homo sapiens, di cui fa parte l’intero genere umano.

In molti sostengono che, ormai, la frittata è fatta, nel senso che gli effetti dei cambiamenti climatici sono già in atto e noi non possiamo fare proprio nulla per fermarli, tanto meno per provocare un’inversione di tendenza. Dovremmo rassegnarci e pensare di già a come limitare i danni, avendo nel frattempo avuto cura di mutare le nostre malsane abitudini di inquinatori, sovra sfruttatori, consumatori di combustibili fossili e prepotenti violentatori del pianeta. Altri sostengono invece che quello che dicono i modelli matematici è una previsione non così affidabile da toglierci ogni speranza, perciò occorre andare avanti mutando le nostre malsane abitudini eccetera eccetera, ma con l’obiettivo finale di salvare noi stessi e il nostro pianeta. Altri ancora, infine, sostengono che i modelli matematici sono così sballati e imprecisi che tutto ciò che dicono è da considerare falso, e che è impossibile che le azioni umane siano in grado di modificare una cosa così complessa e enorme come il clima terrestre.

Con queste premesse è iniziata lo scorso fine settimana la Cop 21, con i suoi 195 paesi in seduta a provare a individuare le misure per scongiurare il disastro del riscaldamento globale. I veri obiettivi, più o meno dichiarati, sono di fatto cinque.

Il primo riguarda l’innalzamento della temperatura. La Cop 21 dovrebbe stabilire misure tali da contrastare l’emissione di gas a effetto serra, limitandone i quantitativi in maniera da limitare l’aumento entro 1.5 o, al massimo, 2 gradi entro la fine del secolo. Secondo molti non è abbastanza, ma tutti sembrano concordi nel dire che più di così non si possa pensare di fare.

Il secondo riguarda la riduzione vera e propria delle emissioni: entro il 2050 si dovrebbe passare da una riduzione del 40% a una del 70%. In altre parole si tratterebbe di rivoluzionare il panorama industriale mondiale e, detto così, si capisce molto bene quanto tale obiettivo sia difficile da perseguire (il delegato indiano a Parigi, tanto per fare un esempio, ha dichiarato che il suo paese ha il “diritto” di bruciare il carbone, perché gli altri lo hanno già fatto in passato).

Il terzo obiettivo riguarda la periodicità degli aggiornamenti. Dal momento che ogni valutazione o misura si basa su modelli descrittivi trasformati in modelli previsionali, occorrerebbe che al massimo ogni cinque anni si ripeta una conferenza del tipo della Cop 21, in maniera da verificare la validità di quanto fatto e stabilire in quale modo proseguire. Cinque anni, dicono alcuni esperti, sono troppi: se le situazioni in atto al momento in Artide e Antartide, in termini di scioglimento dei ghiacci, andranno avanti così per i prossimi cinque anni, siamo già spacciati. In effetti, vista la priorità del tema, sarebbe il caso che i leader mondiali capissero che, di più importante, non c’è nulla e che tutte le agende dovrebbero essere decise dando la precedenza alla questione climatica.

Il quarto obiettivo è forse quello più difficile di tutti, ovvero quello di vincolare tutti i partecipanti alla sottoscrizione degli accordi in una forma giuridica vincolante. È molto improbabile che si possa fare – gli stessi USA hanno già messo le mani avanti sull’argomento – ma l’aspetto peggiore non è questo, bensì il fatto che, pur di ottenere questo livello di impegni, si possa decidere di imporre misure troppo morbide e, quindi, inutili.

L’ultimo obiettivo è quello di stabilire un sistema per la raccolta di fondi fra i paesi sviluppati da devolvere a quelli sottosviluppati o in via di sviluppo in maniera da finanziare percorsi di crescita che non comprendano per forza le vie facili, ma inquinanti, dei combustibili fossili. Si è parlato di circa cento miliardi di dollari l’anno, ma la realtà è che nessuno sembra avere un’idea precisa di quale sia la cifra davvero necessaria, né di quali possano essere i paesi in via di sviluppo nell’arco del prossimo secolo.