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Covid, lo studio: la vitamina D potrebbe non proteggere dal Coronavirus

Studio covid vitamina D

L'assunzione della vitamina potrebbe non proteggere adeguatamente contro il Covid-19. A rivelarlo un recente studio condotto da un team canadese.

Durante questo ultimo anno e mezzo di emergenza sanitaria diversi esperti avevano messo in evidenza come assumere molta vitamina D potrebbe fornire una buona protezione contro il Coronavirus. Ora un recente studio da un team di ricerca dell’Università McGill di Montréal potrebbe smontare tali ipotesi precedentemente formulate affermando come questa vitamina potrebbe non fornire un’adeguata protezione contro il covid-19.

Alla ricerca hanno contribuito gli esperti del Jewish General Hospital che hanno collaborato con un team proveniente dal Technician Israel Institute of Technology di Haifa, dalla scuola di Medicina dell’Università di Kyoto e dal team italiano dell’Azienda Ospedialierà Università di Siena e dell’Ateneo senese. A coordinare il gruppo di ricerca il professore Guillaume Butler-Laporte.

Studio covid vitamina D, analizzate varianti genetiche associate ai livelli di vitamina D

Stando a quanto scritto da fanpage.it. il team di ricerca ha effettuato la sua indagine a partire da uno studio di randomizzazione mendelliana che ha fatto un’analisi a partire dalle “varianti genetiche fortemente associate a livelli aumentati di vitamina D”. Questo significa che gli esperti hanno condotto il loro studio ponendo una particolare attenzione sul profilo genetico dei pazienti.

Sarebbero stati oltre 440 mila i soggetti coinvolti per lo più di origine europea. Di questi sarebbero state messe a confronto circa 14 mila persone risultate positive al Coronavirus, contro 1,3 milioni di persone che non sono state contagiate. Il risultato da questa analisi avrebbe fatto emergere come non sarebbe stata riscontrata alcuna correlazione tra i livelli di vitamina D e le possibilità di essere contagiato o ricoverato.

Studio covid vitamina D, le parole del professor Butler Laporte

Proprio a questo proposito il professor Butler-Laporte che ha coordinato il team di ricerca ha spiegato come “in questo studio di randomizzazione mendeliana a 2 campioni, non abbiamo osservato prove a sostegno di un’associazione tra i livelli di 25OHD e la suscettibilità, la gravità o l’ospedalizzazione per COVID-19. Quindi, l’integrazione di vitamina D come mezzo per proteggere dagli esiti peggiori della COVID-19 non è supportata da prove genetiche”.

Studio covid vitamina D, perché l’indagine sul profilo genetico

Un aspetto sul quale si è prestato particolare attenzione è stato proprio lo studio sul profilo genetico piuttosto che sui livelli di vitamina D del paziente. A spiegare il perché di questa scelta Butler – Laporte che ha dichiarato: “La maggior parte degli studi sulla vitamina D sono molto difficili da interpretare poiché non possono adattarsi ai noti fattori di rischio per COVID-19 grave come l’età avanzata o le malattie croniche, che sono anche predittori di un basso contenuto di vitamina D. Pertanto, il modo migliore per rispondere alla domanda sull’effetto della vitamina D”.