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Stefano Cucchi: cosa è successo la notte del pestaggio

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Stefano Cucchi muore all'ospedale Sandro Pertini nel 2009. Ripercorriamo le tappe dei processi sulla sua morte.

Il giovane geometra romano Stefano Cucchi, con problemi di tossicodipendenza e piccolo spacciatore – è morto nel 2009 all’Ospedale Sandro Pertini di Roma. L’ospedale dove era giunto in pessime condizioni fisiche, dopo essere stato fermato dalle forze dell’ordine e ritrovato con venti grammi di hashish e qualche pastiglia.

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Il corpo del ragazzo, che la famiglia è riuscita a vedere solo al momento del riconoscimento del cadavere necessario per procedere con l’autopsia, mostrava il volto tumefatto, un occhio rientrato, la mascella fratturata, la dentatura rovinata, oltre che ecchimosi sulle gambe, un’emorragia alla vescica, e due fratture alla colonna vertebrale.

L’accusa della famiglia Cucchi

Il Processo di primo grado inizia nel 2011. Le forze di polizia sono accusate di essere responsabili del pestaggio che hanno portato alla morte del giovane, e i medici di negligenza. Ma per anni le verità processuali smentiscono le responsabilità istituzionali. Con il processo di primo grado, la cui sentenza giunge nel 2013, sono scagionati infatti sia gli agenti di polizia penitenziaria, sia gli infermieri coinvolti. Vengono invece condannati per omicidio colposo i medici dell’Ospedale Pertini.

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Anche nel 2014, al termine del processo di appello, vengono assolti tutti gli imputati per assenza di prove. Una decisione contrastata, alla quale si è giunti, secondo il Presidente della Corte di Appello Luciano Panzani, perché “Non c’erano elementi sufficienti per ritenere gli imputati colpevoli di un reato, che però c’è stato”.

Le motivazioni della sentenza arrivano nel 2015: un documento nel quale i giudici pur confermando l’assoluzione, sostengono la necessità di svolgere nuove indagini.

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È sempre nel corso del 2015 che la famiglia Cucchi decide di ricorrere in Cassazione contro la sentenza del 2014. Ricorso che viene accolto dalla Corte, che annulla le assoluzioni dei medici pur confermando però quelle degli agenti di polizia penitenziaria.

La Procure di Roma decide di aprire una nuova indagine, e richiede una perizia dal medico legale che possa accertare segni di percosse, e per “ricostruire se siano state poste le condizioni di una corretta ricostruzione dei fatti”.

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Perizia che quando presentata sostiene che il decesso del ragazzo sia stata causata “Da una epilessia in un uomo con patologia epilettica di durata pluriennale, in trattamento con farmaci antiepilettici”.

Il nuovo processo nel 2017

È quindi nel 2017 che la procura di Roma richiede un nuovo processo per tre Carabinieri, Alessio di Bernardo, Raffaele D’Alessandro e Francesco Tedesco, chiamati questa volta a difendersi da una accusa di omicidio preterintenzionale pluriaggravato da futili motivi e dalla minorata difesa della vittima, da una di abuso di autorità contro arrestati, e da una di falso ideologico in atto pubblico, oltre che di calunnia.

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Una vicenda giudiziaria riaperta però nel 2017, e affidata al sostituto procuratore Giovanni Musarò. Questa volta a conclusione delle indagini preliminari sono rinviati a giudizio cinque militari dell’arma dei Carabinieri, tre di loro con l’accusa di omicidio preterintenzionale, mentre gli altri due vengono accusati di calunnia e falso in atto pubblico.

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Il processo arriva ad un punto di svolta l’11 ottobre 2011, quando Francesco Tedesco, uno dei cinque imputati, ha accusato gli altri colleghi del pestaggio di Cucchi. Tedesco ha anche rivelato di aver scritto una nota in cui raccontava del pestaggio subito da Stefano Cucchi, inviata alla stazione Appia dei Carabinieri. Nota che non sarebbe però mai arrivata in Procura, sparendo. Una storia che oltre ad inchiodare alle proprie responsabilità i militari coinvolti nel pestaggio, fa affiorare il tentativo di insabbiamento dei fatti condotto a vari livelli da parte dell’Arma. Una responsabilità sulla quale sarà ora necessario fare le dovute indagini.