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Razzismo su un Flixbus: senegalese insultato "sei di colore"

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Un senegalese viene insultato su un Flixbus "sei di colore, vai in fondo". Interviene la Polizia. Una ragazza riporta sdegnata l'episodio su Facebook.

Una giovane originaria di Trento ha pubblicato mercoledì 17 settembre sul proprio profilo Facebook un deciso post di denuncia per raccontare un episodio a cui ha assistito il giorno precedente. Era appena salita su un autobus della compagnia Flixbus, che da Trento l’avrebbe portata a Roma, quando, poco distante da lei, una donna ha commesso un gesto di grave razzismo. Sul bus è salito anche Mamadou, un ragazzo senegalese di venticinque anni. Quando si stava per sedere la donna, accanto a lui, gli ha urlato contro: “qui no. Vai via, vai in fondo“. Per calmare la donna e il giovane, in lacrime, è dovuta intervenire la Polizia.

“Sei di colore, vai in fondo”

Flixbus con partenza alle 22.00 da Trento direzione Roma” esordisce così, Elena Irriti, la giovane che ha diffuso sul web l’episodio. La corriera arriva puntuale, salgo, mostro il biglietto all’autista e vado a sedermi al mio posto pronta per il lungo viaggio. Assieme a me salgono anche altre persone, tutte puntualmente seguono il mio stesso iter e si siede. Tra queste persone sale pure Mamadou, un ragazzo senegalese di 25 anni. Mamadou dopo aver mostrato il biglietto all’autista si dirige al suo posto, fa per sedersi quando… “qui no. Vai via, vai in fondo.”. Ad esclamarlo è quella che dovrebbe essere la sua vicina di posto: una signora italiana verso la quarantina con capelli rossicci“.

Poi la giovane continua: “Questa donna si rifiuta di farlo sedere motivando più volta perché di colore e perché “di un’altra religione”. Io rimango incredula seduta incapace (e me ne scuso) di intervenire, la signora sbraita, il ragazzo piange. Ma come si dice “al peggio non c’è mai fine” perché il peggio arriva: viene chiamata addirittura la Polizia! Il ragazzo continua a piangere, è stanco. La polizia arriva e fortunatamente tutto si risolve spostando di posto il ragazzo, facendolo sedere vicino a me, e che vicino alla signora si sedesse Anna“.

La vicenda di è quindi conclusa. “Ora sono qui, a metà viaggio con il ragazzo vicino. Si chiama Mamadou, ha 25 anni, è nato in Senegal ma vive da 15 anni a Bolzano. Lavora da qualche anno con orari e ritmi molto pesanti: monta i forni per un’azienda locale. Mi ha detto con gli occhi lucidi che è stufo, che è stanco di questa cattiveria, che lui non voleva fare nulla semplicemente andare a Roma come tutti noi a trovare un suo amico. “credimi, non faccio nulla di male. Non sono cattivo. Voglio solo sedermi e riposare perché sono stanco”.

L’amara riflessione di Elena

Poi Elena Irriti conclude amaramente il suo post con una riflessione. “Quando a scuola leggevo di Rosa Parks e degli autobus con posti riservati vedevo quella società lontana anni luce dalla nostra e mi dicevo “per fortuna ora non è così”. Quanto accaduto oggi su questo flixbus mi fa rattristare, mi fa tornare indietro a quei tempi e mi fa capire che forse non siamo mai cambiati, che non c’è fine alla cattiveria umana. Un ragazzo normalissimo, con i propri sogni, con la voglia di imparare bene l’italiano e di mettersi in gioco, proprio come me. (Al giorno d’oggi è la cosa più facile da fare puntare il dito contro uno “diverso”, c’è chi fa propaganda solo sul razzismo.) Siamo davvero finiti in un modo così? Stiamo tornando indietro, forse è questo il cambiamento di cui tanto si parla in giro“. Quello che, forse, Elena Irriti vuole dire è che l’aspetto più grave del razzismo che ha visto coi propri occhi è quello della legittimazione. La donna “italiana verso la quarantina con capelli rossicci” non solo si è comportata in modo discriminante, ma si è sentita nel giusto, legittimata appunto, nel commettere questo gesto.