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"Troppo mascolina per essere stuprata", Cassazione annulla assoluzioni

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La Cassazione ha messo nero su bianco che quando un giudice deve valutare un caso di violenza sessuale non si può basare sull'aspetto della vittima.

La Cassazione ha depositato le motivazioni dell’annullamento con rinvio delle assoluzioni di due giovani sudamericani accusati di aver violentato una ragazza peruviana a Senigallia, il 9 marzo 2013. I giudici d’Appello, oltretutto donne, avevano escluso lo stupro anche per il fatto che la 22enne era “piuttosto mascolina”.

La sentenza d’Appello

Dopo una condanna in primo grado a 5 e 3 anni di carcere, la Corte di Appello di Ancona nel novembre 2017 aveva invece assolto i ragazzi definendo la 22enne come “scaltra” e sottolineando nel verdetto la “mascolinità” della vittima per minare la sua credibilità. A suscitare polemiche anche il fatto che la Corte era composta da tre giudici donna.

Nella sentenza si leggeva infatti: “La ragazza neppure piaceva, tanto (che uno degli imputati, ndr) da averne registrato il numero di cellulare sul proprio telefonino con il nominativo ‘Vikingo’ con allusione a una personalità tutt’altro che femminile quanto piuttosto mascolina“. Il procuratore generale si è rivolto così alla Cassazione, che annullò il procedimento ordinando un processo bis che verrà celebrato a Perugia.

Cassazione: aspetto non conta

Nelle motivazioni che sono state rese pubbliche il 9 aprile 2019, gli ermellini hanno sottolineato infatti come i giudici d’Appello si siano basati, nell’emettere il loro giudizio, su una “incondizionata accettazione” dei fatti esposti dalla difesa dei due ragazzi.

Inoltre, viene evidenziato come non fu eseguito un “serio raffronto critico” con il verdetto di condanna emesso in primo grado, anche sulla base del fatto che la ragazza per via della brutalità del rapporto si è dovuta sottoporre ad un intervento chirurgico e ad una trasfusione.

Infine, la Cassazione chiarisce che la sentenza d’Appello in sostanza si basa su elementi “irrilevanti in quanto eccentrici rispetto al dato di comune esperienza rispetto alla tipologia dei reati in questione”, tra cui appunto “l’aspetto della vittima”.