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Milano, indagine nel call center: 1200 euro al mese, pochi lavoratori

call center milano

Intervistati i candidati rinunciatari, per molti la distanza dal luogo di lavoro era eccessiva.

1200 euro al mese ma nessuno disposto a lavorare. Accade in un call center di Milano, zona Corsico: “Colpa del reddito di cittadinanza e del modello Ferragni”, racconta il dirigente. Contattati alcuni dei candidati che hanno rinunciato, tra chi ha rifiutato per “non voler lavorare in periferia” e chi ha optato per un “posto più tranquillo“. L’inchiesta del Corriere della Sera, firmata Antonio Crispino.

Chiamata senza risposta

Siamo nella periferia di Milano, a Corsico. Lì ha sede la Goodman & Marshall, un call center di quelli che sono lontani dall’idea classica che si ha di quel lavoro: nessuna promozione telefonica quindi, ma gestione e recupero crediti societari. Per lavorarci sono necessarie una laurea in materie giuridiche o economiche e capacità relazionali. Su venti postazioni disponibili, solo la metà è occupata: Riccardo Terrana, amministratore delegato, non riesce però a trovare impiegati. L’offerta prevede un contratto da novecento euro netti il primo mese, che salgono a mille e duecento a partire dal quarto con tanto di assunzione a tempo indeterminato. Ma ogni qualvolta che fissa i colloqui i candidati non si presentano. Il motivo? La sede si trova a Corsico, dieci chilometri dal centro di Milano, che richiede quindi un tempo di percorrenza di circa trenta minuti.

Le testimonianze

Sono stati contattati alcuni dei candidati rinunciatari dell’offerta. Arriva da San Donato Milanese la prima, quindi ventuno chilometri dal posto di lavoro. Conferma di aver rifiutato perché non vuole lavorare nella periferia milanese. E lo stesso vale per un’altra ipotetica collega di Vermezzo (stesso tempo di percorrenza) o per Denise che abita sì in centro a Milano – via Crespi, ma il colloquio di lavoro lo voleva via Skype. Troppa la distanza per vedere di persona di cosa si trattasse il lavoro. Meglio quindi il posto come collaboratrice “in uno studio notarile più sotto casa”. Altri invece, pur non avendo un’altra occupazione, hanno preferito rinunciare lo stesso alla chiamata. “Sono fiducioso di trovare un lavoro migliore”, le parole di Gianmarco, contattato all’inizio dello scorso febbraio per iniziare a lavorare, ma mai presentatosi all’appuntamento.

Le parole di Terrana

“Probabilmente non hanno bisogno di lavorare o pensano che possano ottenere qualche sostentamento da parte del Governo”, ha affermato il responsabile cercando una spiegazione. E’ stato il Corriere stesso a essere infatti contattato da Riccardo Terrana, dopo aver visto la prima puntata dell’inchiesta del quotidiano sul lavoro povero, quella in cui si parlava del caso del call center di Almaviva di Palermo. Tantissimi i laureati da 110 e lode che, pur di evitare l’emigrazione al Nord, hanno trovato nel call center siciliano una vera opportunità di lavoro. “Abbiamo il problema opposto a quello di Palermo e pur offrendo stipendi più alti e mansioni diverse rispetto a un normale call center non riusciamo a trovare lavoratori”, ha concluso mostrando un fac-simile del contratto, che offre persino la quattordicesima.

Chi rifiuta l’offerta

Racconta il giornalista Crispino dei migliaia di curriculum mostratigli dalla segretaria: tutti quelli che hanno fissato un colloquio, preferendo poi non presentarsi – o disdicendo. Sono meno di cento e quasi tutti residenti a Milano. Tra coloro che hanno rifiutato l’offerta ci sono neolaureati che chiedevano mansioni dirigenziali fin dal primo incarico, pur non avendo nessuna esperienza lavorativa. “In genere provengono da università prestigiose. Pensano di poter fare subito carriera senza sapere nulla del lavoro. E’ un’aspirazione legittima ma bisogna considerare anche che Milano ha lo stesso numero di avvocati presenti in tutta la Francia – aggiunge Terrana – Altri si presentano qui con l’idea di lavoro diffusasi con Chiara Ferragni, ossia fare un non lavoro e guadagnare molto. Al di là se possa essere o meno definito un lavoro, non so nemmeno se hanno le sue capacità per farlo”. In Italia si può parlare di “crisi di lavoro” o “crisi degli italiani“?