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Sea Watch, ha fatto bene ad attraccare a Lampedusa? Parla l'esperto

Sea Watch

Secondo il professor Sabatini, nessuno degli altri porti presi in considerazione era adeguato.

Il caso della nave Sea Watch e degli oltre 40 migranti a bordo ha tenuto banco per diversi giorni, al termine dei quali, nella notte tra venerdì 28 e sabato 29 giugno, la capitana Carola Rackete ha deciso di entrare nel porto di Lampedusa senza autorizzazione, attraccare e sbarcare i migranti ormai allo stremo. In molti però si sono domandati come mai la comandante 31enne volesse proprio attraccare a Lampedusa e non in un altro porto. In molti si sono chiesti perché, invece che attendere invano tutti quei giorni, non ha deciso di cambiare rotta, e, come auspicato anche da Di Maio e Salvini, come mai non si sia diretta “in Libia, in Tunisia, in Grecia o a Malta?”. A dare una risposta a questi interrogativi ci ha pensato il professore Fabio Sabatini, professore associato di Politica economica all’Università La Sapienza di Roma, che attraverso alcuni post su Twitter, ripresi da Il Sole 24 ore, ha cercato di fare chiarezza.

La definizione di “porto sicuro”

La prima cosa che Sabatini chiarisce è il punto di partenza di tutta la discussione, l’innesco da cui è partita la querelle tra il governo italiano e la ong. Di fronte alla richiesta di poter approdare in Sicilia, l’Italia aveva risposto chiedendo che i naufraghi fossero portati in Libia. Quest’ultima aveva dato l’ok per lo sbarco, ma a quel punto è stata la ong a rifiutare appellandosi alla legge internazionale che regola il soccorso in mare. “La convenzione di Amburgo del 1979 – spiega l’esperto -, cui l’Italia ha aderito, prevede l’obbligo di prestare soccorso ai naufraghi e di farli sbarcare nel primo “porto sicuro” sia per prossimità geografica, sia dal punto di vista del rispetto dei diritti umani”. Proprio in nome di questi requisiti la Libia non sarebbe risultata essere un porto sicuro, motivo per il quale è stata rapidamente esclusa. La Libia, infatti, come spiega anche Sabatini, “è un paese in guerra in cui i migranti sono detenuti illegalmente in condizioni disumane, ridotti in schiavitù e oggetto di torture”.

Il no alla Tunisia

Scartata la Libia, si pensava che i migranti potessero essere portati in Tunisia, ma anche su questo punto il professore Sabatni ha delle riserve: “La Tunisia non è attrezzata per garantire i bisogni dei migranti e non ha una legislazione completa sulla protezione internazionale, che sarebbe invece essenziale per garantire il rispetto dei diritti umani dei migranti e perché un posto possa essere considerato un porto sicuro”. “Avvicinarsi a Lampedusa – prosegue Sabatini -, pur senza autorizzazione formale, non implicava la violazione di alcuna legge. Dirigersi verso Lampedusa era la scelta più ovvia e con meno conseguenze legali e penali. Nel prendere la decisione di accostarsi a Lampedusa, la comandante Rackete ha obbedito a una legge di rango superiore al decreto sicurezza bis” ha affermato Sabatini.

Le altre ipotesi

Libia e Tunisia non sono state chiaramente le uniche possibilità. Si era infatti pensato che la Sea Watch 3 potesse dirigersi in Grecia o in Spagna, ma come ribadito anche dall’esperto, si sarebbe trattato di luoghi troppo lontani: “La legge obbliga le navi a far scendere i naufraghi nel porto sicuro “più vicino”, proprio per non mettere ulteriormente a rischio le loro vite già provate. E’ proprio grazie alla prossimità che in Italia continuano ad arrivare migliaia di persone che attraversano il Mediterraneo con piccole imbarcazioni gestite da organizzazioni criminali”. E l’Olanda? Vale la stessa ragione: “E’ un porto sicuro troppo lontano. Per raggiungerla la Sea Watch avrebbe dovuto passare per l’Oceano Atlantico, che è molto più pericoloso del Mediterraneo. Ciò avrebbe messo a rischio la vita dei naufraghi, violando la legge”. L’ultima ipotesi avanzata era Malta, inadatta perchè “poco attrezzata per gli sbarchi, e soprattutto, per gestire le richieste di protezione internazionale dei naufraghi”. A ciò si aggiunge anche il sovraffollamento di migranti ai quali Malta è sottoposta e motivo per il quale spesso rifiuta di accogliere navi ong.