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Muore da detenuto, aveva un tumore terminale

muore da detenuto

Muore da detenuto all'ospedale San Paolo. ll legale difensore aveva più volte chiesto che potesse vivere gli ultimi giorni da uomo libero.

Il suo avvocato aveva chiesto una morte da uomo libero, senza il piantone fuori dalla porta della sua camera d’ospedale. Sono state tante le richieste presentate, l’ultima solo una settimana prima, con una lettera alla Corte d’Appello di Milano. Lunedì finalmente il parere positivo da parte della procura generale, ma ormai era troppo tardi. Il tumore ai polmoni era giunto allo stadio terminale, si era esteso anche alle ossa, e l’uomo, è morto in un letto dell’ospedale San Paolo, con i piantoni fuomalari dalla porta, di fatto ancora detenuto.

Muore da detenuto, la denuncia

A raccontare e denunciare la vicenda dell’uomo è stato il suo avvocato, Francesca Brocchi, attraverso una lettera. La missiva è stata inviata, tra gli altri, al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, al capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e al garante dei detenuti della Lombardia. L’uomo, 58enne, stava scontando una pena a 5 anni e 8 mesi per rapina e “non aveva nessuno, eccetto il suo difensore”. Nella lettera, si chiede “di approfondire se vi siano state violazioni dei suoi diritti di detenuto e di malato, anche a causa del ritardo nella diagnosi” e “nel ritardo/omissione della comunicazione all’Autorità Giudiziaria competente e al difensore” da parte del carcere di Opera, dove era detenuto. Stando a quanto si apprende da Il Giorno, il provveditore Regionale avrebbe aperto un’indagine interna.

La vicenda

L’odissea del 58enne è iniziata nell’aprile 2018 con l’arresto. È stato detenuto sino al novembre 2018 a San Vittore, poi il trasferimento a Opera. Inizia a lamentare tosse e in pochi mesi arriva il primo collasso al polmone. Dopo il ricovero al Fatebenefratelli la diagnosi: nei suoi polmoni sono presenti cellule cancerose. Gli accertamenti in questo caso dovrebbero essere eseguiti subito, ma per un disguido tardano di un mese, tempo in cui l’uomo resta in carcere. Dopo l’arrivo della cartella clinica con la diagnosi, l’avvocato avanza alla Corte d’Appello la richiesta per la sostituzione della misura cautelare con l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Da qui iniziano poi una serie di ritardi burocratici sino alla decisione di lunedì, quando al Procura Generale, ha dato parere positivo. Ormai, però, era troppo tardi.