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Neomamme sotto pressione, in 10mila dicono addio al lavoro: i racconti

neomamme sotto pressione

Alla denuncia di Chiara, una giovane mamma, è seguita una grande solidarietà da parte di altre neomamme. "Succede anche a me", raccontano su Facebook

Quanto è difficile nel XXI secolo essere madri e donne in carriera? Un contratto part o full-time, poi andare a prendere i figli a scuola, gestire la casa, accudire i propri bambini, trascorrere del tempo con il marito e i propri cari. Una routine davvero affaccendata. L’Ispettorato nazionale del lavoro stima che nel 2016 sono state 29.879 le donne licenziate dopo la gravidanza. Tra queste, solo 5.261 hanno cambiato azienda dopo la maternità. Tutte le altre hanno spiegato che le difficoltà di assistere il bambino (costi elevati e mancanza di nidi) o di conciliare lavoro e famiglia le hanno spinte ad abbandonare il mondo del lavoro. Le neomamme sotto pressione sono in aumento. Donne all’altezza che non possono rivendicare il loro ruolo aziendale e le loro capacità, la propria autonomia e il proprio merito.

Non può dirsi lo stesso per i papà: su 7.859 padri di famiglia che hanno lasciato il lavoro, 5.609 sono passati ad altra azienda. In pochissimi hanno deciso di rinunciare al lavoro per difficoltà familiari.

Chiara è una delle giovani madre che ha denunciato al Corriere della Sera le minacce ricevute in azienda dopo la sua seconda gravidanza. Si tratta di una piccola società in cui lavora da 15 anni. Dopo aver partorito il primo figlio, tutto era andato secondo le leggi. Ma la seconda gravidanza, circa un anno fa, le ha causato problemi inaccettabili e assolutamente inaspettati.

Neomamme sotto pressione, solidarietà per Chiara

C’è stato un cambio generazionale al vertice dell’azienda familiare per cui Chiara lavora. Quando ha avvisato il nuovo capo di essere in dolce attesa, le è stato contestato un ritardo nella comunicazione. La donna ha tenuto a precisare che l’annuncio è stato dato nei tempi previsti dalla legge, ma il capo non ha voluto sentire ragioni: “Dovevi dirmelo già quando tu e il tuo compagno avete deciso di avere un altro bambino”. Da quel momento i rapporti si sono incrinati e Chiara era molto spesso presa di mira. Durante la maternità viene a sapere di essere stata sostituita da una ragazza assunta a tempo indeterminato.

Al rientro nessun dirigente vorrà incontrarla: un altro consulente le comunica che è stata “riposizionata”. Da quel momento dovrà svolgere mansioni che non le competono e di cui non si era mai occupata prima. Fino a quando si sente dire che l’azienda non la vuole più. Ma Chiara non ci sta e continua ad andare al lavoro: da allora l’inizio di un calvario fatto di continue vessazioni. La giovane mamma vuole salvare il suo posto di lavoro e non ricevere incentivi per andarsene.

Eppure non è la sola mamma a vivere una condizione tanto assurda. Oltre alla tanta indignazione sollevata dalla sua vicenda, per Chiara e per tutte le neomamme come lei è stata espressa grande solidarietà. Anche il mondo della politica ha espresso la propria vicinanza. Nel 2018 l’Ispettorato nazionale del lavoro conta oltre 49mila dimissioni o risoluzioni di contratto di lavoratrici madri e lavoratori padri, in crescita del 24% rispetto al 2017. E una delle regioni maggiormente coinvolte è proprio la Lombardia.

Neomamme sotto pressione, dove si consumano le vessazioni

Vessazioni e violazioni si verificano soprattutto in quelle imprese più piccole dove è più difficile difendersi e dove il sindacato non può arrivare. Eppure storie che hanno dell’incredibile arrivano anche dalle grandi città, tra cui la modernissima e avanguardista Milano. Elena Bettoni, responsabile del Centro donna della camera del lavoro, ha raccontato alcuni casi da lei raccolti.

“Purtroppo la realtà è veramente vicina a quella raccontata da Chiara. Almeno il 50% dei casi di discriminazione sul lavoro che mi vengono sottoposti riguardano il periodo della maternità. E se anche c’è un aumento della consapevolezza circa i propri diritti, le denunce restano spesso frenate dalla paura”. Poi la Bettoni ha spiegato: “Prima della maternità sono dipendenti senza macchia, magari anche apprezzate e in carriera. Poi, magari già all’annuncio della gravidanza, cambia tutto e diventano bersagli di richiami, lamentele e gli avanzamenti di carriera spariscono dall’orizzonte”.

Quindi ha ricordato la storia della dipendente di una catena alberghiera alla quale vengono imposti turni che non le permettono neppure di vedere il figlio, se non quando dorme. “Da quando è madre deve cominciare sempre alle 16. Così al mattino il bambino è al nido e al pomeriggio lei al lavoro. E quando ha chiesto una turnazione compatibile le hanno detto “non possiamo fare preferenze”, un altro classico, negare qualsiasi aggiustamento per poi suggerire le dimissioni”, racconta la Bettoni. Situazione analoga è stata descritta e vissuta in prima persona da una commessa di una catena di negozi, separata e con tre figli, che dal punto vendita in centro viene dirottata “senza motivo” a un’altra sede molto più lontana. Per raggiungere il negozio ora impiega ben un’ora e mezza di viaggio. Ma rinunciare al proprio posto di lavoro significa trovarsi impossibilitati a contribuire al mantenimento dei propri figli.

La sindacalista fa sapere che “anche a Milano, nel 2019, trovare un lavoro è difficile. Quindi è davvero doloroso accompagnare queste donne ad accordi che comportano le dimissioni”.

Il versante imprenditoriale

A dire la sua sul tema tanto delicato e di grande rilevanza è anche Marco Barbieri, segretario generale di Confcommercio Milano.

“I contratti tutelano tutti i lavoratori e devono essere rispettati. Abbiamo anche sottoscritto con il Comune il protocollo per il lavoro agile. Se tra i nostri 42 mila iscritti qualcuno si comporta in quel modo non ha scusanti: lo condanniamo senza mezzi termini, e non soltanto come imprenditore”, assicura il segretario generale di Confcommercio Milano.

Alle sue parole fanno eco quelle di Marco Accornero, segretario generale dell’Unione artigiani, che aggiunge: “Nel nostro mondo sono davvero poche le vertenze di questo tipo, forse anche perché in molti casi, dalle acconciature all’estetica e alla bigiotteria, le donne lavorano in imprese tutte al femminile, dove c’è più comprensione. Ma ci sono anche casi di vertenze strumentali, magari nate da forzature di frasi soltanto infelici”.

Il #MeToo delle mamme italiane

A confermare la gravità del dato statistico sono le tante denunce di donne lavoratrici che attraverso i social network hanno diffuso la propria testimonianza. Così si viene a conoscenza di storie di mobbing, ingiustizie, prevaricazioni e discriminazioni. Tra i problemi più diffusi emergono orari inflessibili, contratti non rinnovati, trasferimenti improbabili che spesso costringono alle dimissioni, ridimensionamento del ruolo in azienda e impossibilità di ascesa tra i vertici aziendali.

Sta prendendo forma una community social di madri arrabbiate, deluse dallo stato, affrante dal mondo del lavoro che hanno voglia di gridare il proprio #MeToo sul tema lavoro. “Non è possibile che dopo aver messo al mondo due gemelle io mi trovi dalla sera alla mattina senza posto di lavoro”, è il commento di una neomamma.