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Protesta di 30 attivisti davanti a fabbrica di armi di Roma

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"Da questo stabile, nelle prossime ore, partirà un cannone diretto verso la Turchia": questa è la frase con cui si sono presentati gli attivisti.

Una trentina di persone si sono incatenate ai cancelli della Rheinmetal Spa. L’azienda, con sede a Roma, opera nel settore della difesa, controllata dal colosso tedesco degli armamenti Rehinmetall Defence. Si tratta di attivisti della campagna “Rise Up For Rojava”. Hanno esposto uno striscione con scritto: “Da questo stabile, nelle prossime ore, partirà un cannone diretto verso la Turchia”. Nonostante il blocco delle armi verso la Turchia, infatti, gli ordini che sono stati effettuati nei mesi precedenti stanno comunque lasciando il nostro Paese.

In una nota gli attivisti hanno dichiarato: “Pretendiamo che il Governo italiano, al di là delle sterili dichiarazioni di facciata, adotti tutti i provvedimenti necessari per bloccare immediatamente l’export delle armi verso la Turchia. Comprese le commesse già pronte. Appare assurdo, infatti, che un’eventuale embargo riguardi solo i futuri ordini. Nel frattempo, gli armamenti prodotti in Italia continuano ad uccidere civili innocenti”.

Gli attivisti fanno poi presente un altro fatto. Dalla provincia di Roma, nel primo semestre del 2019, sono già stati esportati verso la Turchia componenti aeromobili, elettronici e relativi dispositivi per oltre 124 milioni di euro.

Protesta attivisti davanti a fabbrica di armi

Gli attivisti continuano la loro protesta. Dichiarano come sia vergognoso il fatto che “l’Italia continui ad esportare armi che arrivano ad Ankara, legittimando ed alimentando l’ignobile offensiva turca nel nord della Siria. Gli scontri hanno già comportato la morte e il ferimento di centinaia di civili. Questo ha portato alla creazione di una vera e propria emergenza umanitaria con la messa in fuga di 300.000 uomini, donne e bambini”. Infine, le persone in protesta hanno dichiarato che se non su sancisce lo stop alle armi verso la Turchia, sono pronti a mettere in pratica un ‘embargo popolare’.