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Violenza sulle donne o sulle italiane: la sottile differenza che esclude le migranti

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Solo le italiane - meglio se patriottiche e stereotipate - meritano di essere difese dalla violenza sulle donne: il sottile paradosso sovranista.

Mescolare sovranismo e social è, quasi sempre e fatte decorose eccezioni, un atto che risponde alle regole della chimica dei pazzi. E quando l’innesco è il tema della violenza sulle donne questo mix in odor di insania emerge e monta come la spuma di quegli alambicchi strani manovrati da monster mackers di cinematografica memoria. Il tema appuntato in calendario di sensibilizzazione per oggi è di quelli che scottano, inutile negarlo, in più, ha un dono: quello dell’ecumenicità. Non si può parlare cioè di lotta su ogni piano cognitivo alla violenza sulle donne senza comprendere nella “categoria” l’intero universo femminile, ogni sua sfaccettatura, ogni viraggio. E ogni bandiera o identità territoriale. Insomma ogni maledetta declinazione dell’orrore da combattere e sconfiggere, non certo da enunciare solo per portare la coscienza in lavanderia.

Violenza sulle donne o sulle italiane?

Fa perciò strano percepire che invece esiste un clima completamente diverso in cui il mondo femminile da difendere viene sottoposto ad una sorta di sub selezione concettuale, per la quale le donne i cui diritti vanno strenuamente blindati sono quelle italiane, al più le europee, al massimo le caucasiche, meglio se patriottarde e patentate in quanto a stereotipo calzante. Attenzione, questa selezione non avviene scientemente – neanche il più truzzo dei sovranisti è così in credito di neuroni – ma per paradosso, il che fa ancora più male perché i paradossi, che sono un po’ i segugi freudiani dell’imbecillità, mettono a nudo le storture del genere umano molto più delle affermazioni coscienti.

Già, perché sui barconi che dai lager libici prendono il largo verso le coste della speranza in mezzo ai calci che i trafficanti danno ai loro occupanti con gli stomaci crepati da marosi e paura, a ben vedere, ci sono anche donne. E udite udite, sono donne che portano stampata addosso la quintessenza della violenza; non quella sottile, psicologica e di trama capillare, che l’Occidente mette legittimamente in casella rossa come assolutamente equiparabile a quell’altra, ma proprio lei, quell’altra. Dice quale? La violenza delle botte, degli stupri, dei bambini ancora in grembo tariffati per il viaggio a fare vita fetale e marinara al contempo, dei sederi accucciati sul bordo della barca a detergere con l’acqua di mare e davanti a tutti il sozzume del ciclo, della promiscuità forzata e tiranna da quando parti a quando approdi.

Un’inutile coccarda

Però no, loro, i sovranisti, quando postano sulle loro pagine social i totem grafici e le icone della piena adesione alla lotta contro la violenza sulle donne, proprio non ci riescono a capire che se fai quella battaglia, se ti ritieni in pieno ed inoppugnabile diritto di dire la tua sul tema, devi per forza retrocedere dalle tue posizioni e fare due conti con la tua coscienza. Proprio non lo capiscono che mettere la coccardina rossa su quella stessa page su cui, scorrendo in alto di poche mandate, trovi l’augurio a ché Carola Rackete venga stuprata, è come postare “I have a dream” e poi dire negro di merda a Balotelli.

O forse lo capiscono benissimo, lo sanno fin troppo bene che quella di oggi è solo una giornata come tante, come quelle dedicate agli alberi da salvare o al koala da tenere in savana o alla cura dentale. Lo sanno e giocano a fare i difensori delle donne scegliendo quali siano quelle da difendere e quali debbano restare accucciate nell’oceano di roba calda e marrò che separa un intento proclamato da una scelta militante. Togliete quelle coccarde, non ve lo chiedono le donne, ve lo chiediamo noi, tutti.