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Chi era Piersanti Mattarella: simbolo della lotta alla mafia siciliana

Chi era Piersanti Mattarella

Chi era Piersanti Mattarella, politico italiano sceso in prima linea contro la mafia che il 6 gennaio 1980 ordinò il suo omicidio.

Un simbolo concreto della lotta contro la mafia in Sicilia, una vita spesa a porre regole laddove non ve ne erano, un emblema della difesa della trasparenza e della battaglia contro le speculazioni. Chi era Piersanti Mattarella, fratello del Presidente della Repubblica Sergio e vittima di un omicidio da parte di Cosa Nostra.

Chi era Piersanti Mattarella

Dopo essersi trasferito a Roma dove si laureò in giurisprudenza e prese parte all’Azione Cattolica, tornò nella sua terra natale, la Sicilia, dove iniziò a scendere attivamente in politica a fianco della Democrazia Cristiana. Nel 1964 diventò consigliere comunale nel cosiddetto periodo del “sacco di Palermo”. Si tratta dello sregolato boom edilizio che coinvolse la città per via delle concessioni dei politici siciliani Salvo Lima e Vito Ciancimino.

Nel 1967 Piersanti fu poi eletto all’Assemblea regionale, dove iniziò a distinguersi per il suo approccio trasparente alla politica e le sue battaglie contro la corruzione. Vi rimase per due legislature, durante le quali fu anche assessore al Bilancio ed ebbe modo di occuparsi dei conti della Sicilia con ottimi risultati. Questi gli garantirono anche il plauso del Partito Comunista Italiano. Nel 1978 divenne poi Presidente della Regione a capo di una giunta di centrosinistra e con l’appoggio esterno del PCI.

Ricoprendo questo ruolo emerse ancora di più il suo approccio trasparente e in aperta sfida alla mafia, soprattutto nel settore degli appalti e dell’urbanistica. Forte e deciso infatti il suo impegno contro la speculazione e la corruzione e a favore del rispetto delle regole.

Azioni che lo resero scomodo agli occhi di Cosa Nostra, che il 6 gennaio 1980 ordinò il suo omicidio. Mentre stava andando a messa con moglie, suocera e figli, Piersanti Mattarella venne infatti ucciso a colpi di pistola a bordo della sua Fiat 132. Inizialmente si pensò ad un attentato neofascista perché un gruppo ne rivendicò l’azione. Le indagini successive, che si basarono sulle dichiarazioni dei pentiti Tommaso Buscetta e Gaspare Mutolo, portarono però alla luce la vera attribuzione dell’uccisione, considerata a stampo mafioso.