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Coronavirus: “Dai test possibile falso negativo anche dopo l’infezione”

Coronavirus reduci

Il medico Giorgio Palù dichiara: "Come tutti i test, anche quello per il coronavirus è suscettibile al prelievo".

Secondo Giorgio Palù, professore ordinario di Microbiologia e Virologia dell’Università di Padova, il test per verificare se si ha contratto il coronavirus potrebbe risultare falso negativo anche dopo l’infezione. Dopo il caso del dirigente di un azienda nel piacentino, indicato come il paziente zero del focolaio in Lombardia, che attualmente si trova isolato nell’ospedale Sacco di Milano, insieme ad altri 5 casi sospetti, era risultato negativo al tampone: “Ci sono diversi motivi per i quali questo può accadere e al momento non ci sono elementi sufficienti per preferire un’ipotesi a un’altra”.

Coronavirus: falso negativo ai test

“Come tutti i test, anche quello per il coronavirus è suscettibile al prelievo“, ha spiegato l’esperto Palù, e ha aggiunto: “È possibile ad esempio che l’infezione sia passata dalle vie aeree superficiali a quelle profonde”. Le ipotesi sul caso italiano tuttavia sono le più disparate e non ci sono ancora sufficienti elementi per determinare quale ipotesi sia la più valida. Secondo l’esperto non è ancora possibile escludere che “quando l’uomo ha fatto il test non aveva più il virus rilevabile“. L’ipotesi del tampone sarebbe confermata anche da uno studio condotto in Cina, su alcuni cittadini cinesi, di cui uno asintomatico. Secondo lo studio, infatti, il quantitativo di coronavirus presente nelle vie respiratorie dei pazienti asintomatici può raggiungere livelli paragonabili a quelli dei malati con sintomi, rendendoli potenzialmente infettivi.

Le dichiarazioni di Burioni

Il virologo Roberto Burioni insieme al collega Nicasio Mancini sul sito ‘Medical facts’ scrive: “L’analisi di questi dati ha dimostrato come la quantità di virus raggiunge il picco subito dopo la comparsa dei primi sintomi, con livelli più alti nel naso rispetto alla gola. I pazienti stanno ancora relativamente bene, ma hanno già livelli elevati di virus nelle prime vie respiratorie. Questo dato è drammaticamente diverso rispetto a quanti si osservava con la Sars, in cui il picco virale era raggiunto 10 giorni dopo la comparsa dei sintomi, quando il paziente stava già molto male o, nei casi più gravi, addirittura in rianimazione. E di conseguenza non poteva trasmettere l’infezione, se non a chi lo stava curando. Una carica elevata di virus significa che una maggiore quantità di virus può, attraverso il muco o la saliva, raggiungere un individuo sano, ovvero che è più alta la possibilità di infettarlo”.