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Coronavirus, parla il medico contagiato ricoverato a Pavia: "Sto bene"

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Il medico Omar Alquati, attualmente ricoverato dopo essere risultato positivo al coronavirus, ha espresso le sue opinioni sull'epidemia in corso.

Dice di stare bene e di non avere più nemmeno la febbre il dottor Omar Alquati, medico operante negli ospedali di Codogno e Lodi, che dal 23 febbraio si trova ricoverato al San Matteo di Pavia dopo essere risultato positivo al coronavirus. Alquati, anestesista-rianimatore di 43 anni, era in servizio fino a sabato scorso quando dopo il risultato del tampone faringeo è stato trasferito presso il reparto malattie infettive dell’ospedale pavese, da cui ha raccontato la sua esperienza di contagiato esprimendo le sue opinioni circa la gestione sanitaria dell’epidemia.

Coronavirus, parla il medico contagiato

Ricoverato dalla giornata di domenica, Alquati racconta di essere stato al lavoro fino al pomeriggio di sabato quando ha iniziato ad accusare sintomi simili a quelli di una normale influenza. A causa dell’emergenza in corso proprio nel lodigiano, è stato immediatamente disposto il tampone per il medico, il quale è risultato in seguito positivo al coronavirus rendendo necessario il ricovero in isolamento: “Dieci giorni fa, se mi fosse capitata la stessa cosa, sarei stato a casa un paio di giorni e poi sarei tornato tranquillamente al lavoro”.

Al momento sono altri due i medici ammalatisi di coronavirus colleghi del dottor Alquati, nessuno dei quali ha però fortunatamente sviluppato gravi sintomatologie. Lo stesso Alquati ha raccontato come molto probabilmente abbia contratto il virus da un collega con il quale si trovava all’ospedale di Codogno proprio il giorno in cui è arrivato il 38enne noto come paziente uno: “È molto probabile che abbia contratto l’infezione dal collega, quando le protezioni non le avevo”. Alquati ipotizza un contagio da parte di un collega anche considerando il periodo di incubazione di circa cinque giorni: “Se non fosse andata così, allora son stato contagiato fuori, come son stati contagiati molti altri”.

Il giudizio sulle contromisure

Il medico 43enne giudica positivamente le misure adottate dalle autorità regionali per contrastare l’epidemia, anche se non nasconde la presenza di alcune criticità nella prima fase di risposta all’emergenza. Alquati specifica come sia più sensato limitare gli spostamenti piuttosto che impedirli del tutto, cosa che ovviamente risulta impossibile a contagio ormai in corso: “Sarebbe come andare a chiudere la stalla dopo l’uscita dei buoi. I buoi son scappati, bisogna limitare i danni”.

Tuttavia Alquati si mostra positivo sulla reale pericolosità del coronavirus, concordando con gli infettivologi secondo cui l’epidemia è sicuramente più diffusa di quanto dicano i dati reali poiché molto spesso è scambiata per una banale influenza. Sempre Alquati afferma che in Italia sono stati registrati più casi semplicemente perché si sa dove andarli a cercare: “Se si riuscirà a rallentare la diffusione del virus, non mi aspetto di lavorare in scenari apocalittici”.

Le critiche all’allarmismo

Proprio per questo motivo Alquati condanna l’allarmismo con cui i media stanno trattando la questione, precisando che nella maggior parte dei casi il contagio da coronavirus porta a sviluppare una sintomatologia lieve, mentre in molti casi la malattia nota come Covid-19 non viene nemmeno sviluppata: “Certamente una piccola quota potrà complicarsi e finire in terapia intensiva, ma si tratterà di una piccola quota. Anche l’influenza stagionale porta alcuni casi in terapia intensiva”.

Alquati però non si limita a puntare il dito contro il mondo dell’informazione ma anche contro la sua stessa categoria, rea a suo dire di aver diramato la massima allerta fin dai primi momenti per poi ricredersi quando la malattia risultava meno pericolosa di quanto si pensasse: “Anche in ambito sanitario si è iniziato con il massimo livello di cautela e adesso, dopo pochi giorni, si sta facendo qualche passo indietro. Il medico tiene poi a sottolineare come l’emergenza verrà gestita al meglio dalla sanità italiana, confidando nelle capacità del personale: “Un paziente critico può poi complicarsi in modo irreversibile, ma è davvero improbabile che queste situazioni possano costituire la maggioranza dei casi.