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Coronavirus, a Codogno picco di polmoniti anomale da metà gennaio

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Il focolaio dei casi di Coronavirus in Italia sarebbe da individuare a Codogno dove già a metà gennaio si è verificato un aumento di polmoniti anomale

Gli esperti sono alle prese con la ricerca dell’evoluzione del focolaio della diffusione del coronavirus in Italia. Come riportato da Repubblica, infatti, tutto sarebbe iniziato a Codogno, uno dei paesi della zona rossa lombarda, dove già a metà gennaio si sarebbero registrati alcuni casi di polmoniti anomale.

Boom di polmoniti anomale da metà gennaio

In base a quanto si evince da Repubblica, la task force di epidemiologi, ricercatori, forze dell’ordine e inquirenti al lavoro a Milano e dentro la zona rossa del contagio, avrebbe scoperto che il focolaio italiano del coronavirus covava da “almeno dalla metà di gennaio”. Grazie alla genetica, infatti, gli scienziati stanno ricostruendo il nesso tra “il principale epicentro dell’epidemia”, individuato tra i dieci Comuni isolati nel Basso Lodigiano, e quello definito “secondario” di Vo’, nel Padovano. Ebbene, ad una settimana dalla prima diagnosi nell’ospedale di Codogno, l’individuazione del “paziente zero” continua ad essere incerta. Ma non solo, anche l’ipotesi che il dipendente di Casalpusterlengo sia il “paziente uno” inizia a vacillare.

Dopo l’esplosione dell’allarme coronavirus tra Codogno, Castiglione d’Adda e Casalpusterlengo, i sanitari hanno infatti ricollegato i casi di decine di pazienti, non solo anziani, che da metà gennaio “sono stati colpiti da strane polmoniti, febbri altissime e sindromi influenzali associate a inspiegabili complicanze”. Nel Basso Lodigiano, inoltre, già in gennaio si era registrato un picco di influenze e polmoniti, niente però faceva ricondurre “a fattori estranei alla stagionalità”. C0me dichiarato da Alberto Gandolfi, medico di base in quarantena a Codogno con vari assistiti infetti : “Eravamo tutti convinti che quelle polmoniti fossero favorite da freddo e assenza di pioggia. Rivelate dalle lastre, sono state curate con i consueti antibiotici”.

Dopo l’isolamento del “ceppo lombardo” del coronavirus a Milano, queste vengono quindi incrociate geneticamente tra loro. In laboratorio, anche a Roma e a Pavia, inzia in questo modo a prendere forma una rete sempre più precisa di relazioni personali anche non dichiarate, o che gli stessi soggetti contagiati non ricordano. “Tra giovedì 20 e lunedì 24 febbraio – ha spiegato uno dei ricercatori – siamo improvvisamente passati da zero a oltre 200 casi di coronavirus tra 50 mila persone di un unico territorio. Effetto di tamponi fatti a tappeto, ma una simile accelerazione non ha precedenti nemmeno in Cina e non trova riscontri nei tempi d’incubazione del Covid-19″.

Per questo motivo nelle ultime ore si è iniziato a retrodatare la “diffusione silente” del contagio nel Lodigiano, concludendo che il “paziente uno” possa in realtà non essere tale. Anche perchè soltanto “con più infetti inconsapevoli in circolazione per parecchi giorni” si spiegano “diffusione, velocità e trasversalità” del contagio.