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Coronavirus, medici lottano per Mattia: "Lui non deve morire"

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Coronavirus. La lotta dei medici per salvare la vita a Mattia, il "paziente 1" ricoverato al Policlinico San Matteo di Pavia: "Lui non deve morire".

Coronavirus, le cure per Mattia, il “paziente 1“, ricoverato al Policlinico San Matteo di Pavia. Parola ai medici che lo assistono giorno e notte per salvargli la vita, tra tamponi e turni infiniti.

La lotta per salvare Mattia

“So di non fare un’affermazione scientifica, ma la verità è che per sconfiggere un nemico nuovo e sconosciuto abbiamo bisogno anche di una somma insondabile di coincidenze positive. Detto in due parole, augurate a noi medici e agli scienziati buona fortuna”, sono le parole di Raffaele Bruno, 53enne di Cosenza che da una settimana lotta per salvare la vita a Mattia, il paziente 1, in quella definita come “la missione più difficile in corso in Europa”. Salvare Mattia e non solo, ma anche tutte le centinaia di persone come lui colpite dal Covid-19 nel Basso Lodigiano. Nel reparto diretto da Bruno da venerdì 21 febbraio, oltre trenta medici, infermieri e specializzandi ogni giorno lottano per “il contagiato italiano che non deve morire”, mentre due piani sotto altri quaranta medici e tecnici studiano senza sosta centinaia di tamponi al giorno.

Ma ogni vita ha lo stesso valore e tutti gli scienziati, in Lombardia e nelle altre regioni in prima linea, non fanno distinzioni: “Dobbiamo trovare, seguire e controllare l’infezione per diagnosticarla, o poterla escludere tra chi viene sottoposto ai test”, rivela a voce ferma il direttore della scuola di virologia molecolare Fausto Baldanti, 56 anni di Piacenza, nella stessa équipe di Bruno. Salvare però il “paziente 1”, Mattia, sarebbe un’iniezione di fiducia non solo per la scienza, ma anche per tutti gli operatori impegnati in questi giorni. Fiducia psicologica, politica ed economica: “Qui è in corso il più gigantesco sforzo messo in campo dall’Occidente contro questa infezione nuova. Ancora non la conosciamo e lei non conosce noi. Da qui nascono potenzialità della diffusione e potenza della paura. L’obbiettivo allora è raccogliere il maggior numero di dati accertabili e certificati, mettendoli a disposizione di tutto il mondo”. Tutta la famiglia di Mattia è in cura, dai genitori – prelevati da casa lunedì 24 febbraio -, alla moglie Valentina, infetta e ricoverata all’ospedale Sacco di Milano: lei partorirà tra un mese. Ma di quello che si sa delle vittime finora conteggiate nel nostro Paese, queste sono tutte anziane e con patologie pregresse, mentre Mattia – sano, sportivo e giovane -, resta l’unico finora più grave e colpito solo dal “coronavirus“.

La parola agli esperti

“Il problema — dice Bruno — è che resta impossibile prevedere il decorso dell’infezione. Altri sono già guariti. Lui invece è stabile dal primo istante. L’imprevedibilità purtroppo è il marchio dei virus sconosciuti”. A distanza di sette giorni Mattia è sedato e intubato, non autonomo alla respirazione, e su di lui si sta testando una nuova cura: “Un cocktail di farmaci usati per l’Hiv, per l’epatite C e per l’ebola. Nella miscela c’è la ribavirina”, che nei primi esperimenti è riuscita a inibire la crescita del virus. In Cina e in Corea del Sud questa cura è già stata testata, con ottimi risultati: guariti sia i contagiati leggeri, che quelli più gravi. “Il coronavirus è democratico e si muove con le persone. Il suo movimento sulla terra così oggi è rapido e inarrestabile”, rivela Baldanti: “Il fatto che il primo focolaio europeo sia esploso tra i dieci centri del Lodigiano è casuale, anche se la Lombardia è una delle regioni più densamente popolate e globalizzate del continente. Dare un’identità al “paziente zero” può spiegare una dinamica sociale, ma a noi preme circoscrivere l’epicentro del contagio e comprendere le sue dinamiche”. Nelle ultime ore sono stati isolati oltre 20 ceppi autoctoni nella zona rossa, tutti diversi. Studiare il virus e sequenziare il suo patrimonio genetico rappresenta un grande passo per una svolta definitiva. Per Bruno “è un impegno eccezionale e non sappiamo quanto durerà questa epidemia. La gente deve sapere però che il nostro sforzo durerà fino a quando sarà necessario”, e anche il Presidente Mattarella ha ringraziato. Una “missione non impossibile“, con un unico timore: vedere spegnersi Mattia. Ma si continua a remare tutti nella stesa direzione, la sconfitta non è valutata in questo momento, perché sarebbe collettiva. Quindi camici abbottonati, maniche rigirate e pronti per il prossimo turno.