> > Coronavirus, tampone ai politici anche se asintomatici. E i cittadini aspettano

Coronavirus, tampone ai politici anche se asintomatici. E i cittadini aspettano

Zingaretti colpito da Coronavirus

A Sindaci, Assessore e Parlamentari è stato effettuato il tampone per il Coronavirus, anche in assenza di sintomi. I cittadini, con febbre e tosse, devono aspettare.

Non hanno fatto il tampone per il Coronavirus solo a Zingaretti e Cirio, ma a quasi tutti i politici. E senza che avessero sintomi come comunicano candidamente gli stessi governatori, assicurandoci che stanno bene e continuano a lavorare anche in isolamento. Al netto della gioia sincera nel sapere i nostri rappresentanti sono sereni e più di qua che di là, diversi utenti delle zone rosse si stanno però chiedendo – ora che hanno tutto il giorno per stare davanti ai social – come mai sindaci, assessori e parlamentari abbiano avuto accesso al tampone in assenza dei parametri previsti dal protocollo nazionale che, data la scarsità e il costo (in Usa superano i 3.200 dollari l’uno), prevedrebbe una sospetta polmonite in atto per eseguirlo.

Hanno controllato naturalmente anche segretari, collaboratori (come nel caso Fontana, già il 27 febbraio) e, per chi ce l’ha, la scorta (come nel caso Salvini) che spesso fornisce una barriera protettiva “naturale”. “La solita storia dei due pesi e delle due misure”, “figuriamoci se per loro non esce fuori il ventilatore e il posto in rianimazione” sono i commenti più ricorrenti tra i cittadini indisposti da quello che vivono come l’ennesimo privilegio della casta. Soprattutto dopo che è saltata fuori la conferma che in emergenze sanitarie del genere i malati di serie A e B esistono eccome, che è meglio concentrarsi su chi ha più chance di farcela anziché accanirsi con chi arriva in reparto già logorato da altre patologie.

“Non è il momento di polemiche sterili e fuori luogo, di luoghi comuni” ribattono altri, per quanto se una frase fatta diventa tale un minimo di verità al fondo dovrà pur contenerlo. Ho anch’io amici a casa in questi giorni, a Milano, con febbre e tosse: i medici di base gli hanno detto di restare chiusi e curarsi come per un’influenza, facendosi possibilmente recare la spesa da un conoscente dotato di guanti e mascherina.

Di tamponi, neanche a parlarne. Se, in base ad una autodiagnosi, gli sembra di peggiorare, dovranno chiamare il 112 che li preleverà per portarli in ambulanza al pronto soccorso più vicino, dove solo a quel punto verificheranno se siano stati contagiati proprio dal Coronavirus (3 viaggi da e per l’ospedale anziché uno, non essendo ancora contemplata la possibilità di eseguire il test direttamente a domicilio).

Va detto in realtà che i politici – eletti da noi, per fare le nostre veci – sono in effetti tra i soggetti più esposti essendo ogni giorno gomito a gomito con una quantità di colleghi, lavoratori e giornalisti, in convegni, riunioni e manifestazioni. Sono tra i maggiori veicoli del contagio, tra i più contagiati e contagianti al tempo stesso: individui che per la loro speciale attività vanno monitorati nel nostro stesso interesse, che è abbattere la diffusione del virus.

Certo non sono gli unici che per mestiere sono costretti a un bagno di folla quotidiano e a stringere molte mani; forse rischia di più il cassiere del supermercato che maneggia merci e soldi. Ma è anche vero che il barman o il commesso non ricoprono ruoli di responsabilità istituzionale, non svolgono compiti in nome dello Stato e della collettività, non li abbiamo incaricati di prendere decisioni politiche al posto nostro.

Che i “potenti” siano stati scannerizzati, mentre i comuni mortali aspettano, non deve purtroppo sorprendere né fare inorridire. La stessa circolare del Ministero della salute, che già da fine febbraio specifica quali siano i casi sospetti che richiedono l’esecuzione del tampone, prevede delle “eccezioni” non meglio specificate.

Futile pure la polemica sulla mancata imposizione della quarantena per chi è stato a contatto con Zingaretti e Cirio visto che allora, per seguire la prassi, dovrebbe finire ai “domiciliari” il premier Conte e decine di dirigenti della Protezione civile, commissari e responsabili delle forze dell’ordine, a cui i due governatori si sono sicuramente avvicinati durante l’incubazione: il buon senso, o se preferite la ragion di stato, prevedono spesso eccezioni, pur confermando la regola.