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Coronavirus, negli ospedali dramma in rianimazione: "Muoiono lucidi"

Coronavirus: il dramma in rianimazione negli ospedali

Nel reparto rianimazione degli ospedali, il numero di pazienti con il Coronavirus è quasi insostenibile. La testimonianza del San Carlo di Milano.

Il reparto rianimazione degli ospedali non è mai stato un posto piacevole, soprattutto ora, in piena emergenza Coronavirus. I posti letto sono sempre meno, si percepisce la difficoltà del sistema sanitario italiano nel gestire questa situazione, seppur medici, infermieri e personale ospedaliero stiano facendo i salti mortali per sostenerlo.

Coronavirus: in rianimazione “Si muore soli”

“In pronto soccorso i pazienti con il Coronavirus entrano soli, nessun parente lì può assistere e quando stanno per andarsene lo intuiscono. Sono lucidi, non vanno in narcolessia. È come se stessero annegando, ma con tutto il tempo di capirlo”, ha detto la dottoressa Francesca Cortellaro, primario del pronto soccorso dell’ospedale San Carlo, Milano.

Il suo racconto mette una tristezza indicibile, ma è uno schiaffo di realtà necessario: “L’ultimo è stato stanotte. Lei era una nonnina, voleva vedere la nipote. Tirato fuori il telefonino, gliel’ho chiamata in video e si sono salutate. Poco dopo se n’è andata”, ha raccontato la dottoressa.

In ospedale, il dottor Carlo Serini ha trascorso la notte in rianimazione, reparto nel quale lavora da anni: “Ora è diverso. Stanotte mi sono avvicinato a un anziano, gli avevamo messo il casco per la respirazione. Lui si guardava intorno spaurito. Mi sono chinato e mi ha chiesto se fosse vero, grave. Ho incrociato quel suo sguardo da cane bastonato e capito. Stavolta non avevo risposte”.

Gli ospedali in emergenza posti letto

A fornire una prova concreta di ciò che avviene negli strutture ospedaliere, il primario del San Carlo di Milano, Stefano Muttini: “Ho l’impressione di esser finito in un Tsunami che, per quanto lotti, non riuscirò mai a fermare. Il problema principale è inventarsi nuovi posti“, ha detto “La mia rianimazione aveva 8 letti. Poi sono riuscito ad aggiungerne 7, altri 8 e infine 16, arrivando a 31 posti. Domenica mattina ero felicissimo di averne trovato 6 nuovi, ma a mezzogiorno me li sono ritrovati tutti occupati. Per un attimo mi son sentito sconfitto, inadeguato”.

Secondo quanto riporta il primario del reparto cuore-polmoni, Stefano Carugo, sono stati creati 12 posti in più per i cardiopatici che necessitano della terapia intensiva, ottenuti dopo solo 5 giorni di lavori senza sosta, quando in condizioni normali ci sarebbero voluti mesi. La sfrenata ricerca di posti letto è uno stress emotivo non indifferente per chi lavora negli ospedali italiani, soprattutto in quelli di una grande città come Milano.

Questa è l’amara conseguenza di 10 anni di tagli alla sanità, che hanno portato alla riduzione della capienza, soprattutto in terapia intensiva, e all’accorpamento di diverse strutture ospedaliere. Per non parlare del personale: il Sistema Sanitario Nazionale ha perso circa 46mila dipendenti.