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Coronavirus in carcere: il fallimento dello Stato

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Le rivolte, in vari carceri d'Italia, per il coronavirus hanno in realtà cause più profonde e dimostrano alcune falle dello Stato italiano.

Quello che è successo nelle carceri italiane, con sommosse, devastazioni, 14 morti tra i detenuti, è gravissimo per due ragioni. La prima è la credibilità dello Stato minata dalla fuga di pericolosi criminali, dal controllo temporaneo di alcuni istituti di pena e sequestro di alcuni operatori e dai danni enormi che ammontano a 30 milioni di euro. La seconda ragione è molto più semplice: tutto era prevedibile. In Italia nelle carceri ci sono 60 mila detenuti, oltre 10 mila in più rispetto alla capienza prevista.

Con questi numeri la diffusione del contagio da coronavirus rappresenta anche per i detenuti e per gli operatori un pericolo gravissimo, aggravato dalla sospensione dei permessi e dei colloqui da parte dell’amministrazione. Una preoccupazione reale visto che l’eventuale diffusione del virus è una sciagura per la difficile applicabilità delle misure precauzionali. “Come potranno isolarsi le decine di detenuti che fossero entrati in contatto con uno di loro positivo dentro le nostre carceri sovraffollate?” si è chiesto giustamente Stefano Anastasia, portavoce dei garanti e garante dei detenuti di Lazio e Umbria.

A Sant’Anna, nel carcere di Modena, è partita una delle prime sommosse e la ragione è che uno dei detenuti era stato trovato positivo. Alla fine i detenuti hanno preso possesso della infermeria e sono morti 9 reclusi, per alcuni è già accertata l’overdose come causa

Non solo coronavirus: le cause delle rivolte in carcere

Le rivolte ovviamente hanno anche cause diverse. In alcune è stata evidente una regia che mirava ad una prova di forza con lo Stato, in carceri dove la presenza di esponenti legati al crimine organizzato è alto. Nei giorni delle sommosse ho parlato con agenti della polizia penitenziaria, operatori, sindacalisti, guardato video e ascoltato i loro audio. Emerge un dato: gli operatori sono stati lasciati in balia di una violenza cieca. C’è un audio che arriva dal carcere di Foggia. È la voce rotta dal pianto di una guardia penitenziaria mentre i detenuti scappano e il carcere è fuori controllo: “Tutti fuori sono, tutti i reparti… sono tutti fuori, stanno sfasciando tutto, sono arrivati quasi all’ingresso”. E in un’altra si sente: “Mi ha chiamato mio marito dall’officina che l’hanno messo spalle al muro, hanno rubato tre, quattro macchine”.

Da Foggia sono scappati una trentina di detenuti, tutti presi tranne 5, i più pericolosi. Tra questi Francesco Scirpoli, in carcere per l’assalto ad un blindato, vicino alla mafia garganica e un assassino. A Melfi sono stati sequestrati per alcune ore alcuni agenti con i detenuti che hanno occupato la prima e la seconda sezione dell’alta sicurezza.

Il 10 marzo scorso il Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede aveva convocato le sigle sindacali che hanno declinato l’invito perché prima delle sommosse avevano richiesto l’intervento del Ministro “ma nessuna delle istanze ad Ella rivolte hanno trovato riscontro” hanno scritto in una nota. Alla fine delle rivolte, il governo sta predisponendo uno stanziamento per avviare lavori nelle carceri, almeno 30, devastate, e ha inviato 100 mila mascherine. Una parte della maggioranza, Italia Viva, chiede la rimozione di Francesco Basentini, capo dell’amministrazione penitenziaria.

È tardi perché lo Stato ne esce a pezzi, non solo per i danni, non solo per il perenne e irrisolto sovraffollamento, ma anche perché le parole di un’altra guardia penitenziaria sono il racconto dell’accaduto: “Ragazzi, purtroppo la situazione è sfuggita di mano allo Stato. Ci hanno abbandonati, non stanno facendo nulla per risolvere la perenne emergenza. La pelle è la nostra e della pelle nostra non importa a nessuno”.